Oggi, 4 ottobre, ricorre il trentesimo anniversario degli accordi di pace in Mozambico, firmati a Roma il 4 ottobre 1992. Ricordiamo l’anniversario con due testimonianze personali Giovanna Luisa e Gianpaolo Rama, due tra i fondatori del CAM, che hanno vissuto da vicino la svolta storica, in Mozambico.

“Quando due elefanti lottano è l’erba che soffre”

(Proverbio africano)

1982: era la prima volta che ci trovavamo così lontani da casa, ospiti di un Paese da poco uscito da un conflitto che l’aveva portato, stremato, all’indipendenza dal colonialismo portoghese (1975). La ricostruzione veniva assunta dai vincitori, i mozambicani del partito del Frelimo, di ispirazione marxista, osteggiati ben presto dai mozambicani dalla Renamo, l’esercito filo occidentale di resistenza. Armati da potenze straniere, che aspiravano ad aumentare le reciproche zone di influenza, o almeno a mantenere quelle che già si erano conquistate, i due schieramenti combatterono una guerra fratricida che durò oltre 16 anni e si sarebbe conclusa il 4 ottobre 1992, con un Accordo di Pace siglato a Roma, presso la sede della Comunità di S. Egidio.

Restammo in Mozambico oltre due anni, accompagnando il declino a cui la guerra sottomise uomini, donne e bambini, lentamente privati di ogni diritto, pur essendosi liberati della schiavitù degli antichi coloni.

Il Cuamm, (Medici con l’Africa) aveva destinato Paolo al lavoro ospedaliero nel distretto che gravitava intorno a Luabo, in Zambezia. Terra di fiorente coltivazione della canna da zucchero in epoca coloniale, a quel tempo si avviava inesorabilmente alla decadenza.

Al nostro arrivo, nel 1982, nei negozi della cittadina, gestiti da mercanti indiani, erano ancora disponibili derrate alimentari, stoffe, oggetti di uso comune, distribuiti alla gente che accorreva grazie ad un passa parola e si accodava in lunghe file in attesa del proprio turno. Vi trovavano pesce, latte, legumi, zucchero, anche pane qualche volta. Poi sempre meno. All’asilo dove lavoravo i bambini venivano soprattutto perché avevano un pasto garantito, ma nei due anni della mia permanenza ho visto dapprima servire riso e fagioli o verdure, carne o pesce, una volta alla settimana almeno, poi tè con i biscotti, ed infine soltanto più tè.

A fine guerra, occorre ricostruire non solo l’ambiente devastato, non solo i servizi essenziali, occorre ricostruire se stessi, ritrovare qualcosa in cui credere, qualcuno con cui camminare

Nel 1984, lo spettro della fame si aggirava tra le case della popolazione. La città più vicina, dove trovare rifornimenti, era ad almeno 6 ore di auto, ma con il passare del tempo, non per colpa delle piogge, la strada divenne impraticabile. La strategia adottata dalla Renamo era quella di isolare i luoghi abitati. Lungo le strade di collegamento c’erano continui attacchi. Non si poterono più evacuare nemmeno i malati. L’unico aereo di collegamento serviva i mercanti e le loro merci. Trovare posto per un malato richiedeva instancabili negoziazioni, a volte discussioni accese.

Nel 1984 eravamo tornati a casa, in Italia, da due mesi, quando venimmo a sapere che la cittadina era stata invasa dalle truppe antigovernative. Un anno dopo le stesse truppe l’avevano messa a ferro e fuoco, distruggendola e rapendo chi non era riuscito a fuggire. Rapirono anche gli amici frati, cappuccini di Bari, missionari che tante volte ci avevano fatto sentire la differenza tra stare “per” e stare “con” la gente, in mezzo alla quale eravamo tutti andati a vivere.

Tornammo in Mozambico dieci anni dopo, nel 1992. Ci fermammo a Maputo. La nostra famiglia era cresciuta: eravamo in cinque e la guerra stava per finire. Restammo altri 6 anni. Non occorsero tutti per capire che le guerre finite, in realtà vedono finire i conflitti sulla carta, ma non nella realtà: a fine guerra, per molti anni ancora, chiunque può saltare su una mina inesplosa, esseri umani ed animali, che a volte sono l’unica ricchezza di una famiglia. A fine guerra, occorre ricostruire non solo l’ambiente devastato, non solo i servizi essenziali, occorre ricostruire se stessi, ritrovare qualcosa in cui credere, qualcuno con cui camminare.

Il Mozambico ha trovato tutto ciò? Non lo so: Indubbiamente una lunga pace ha permesso la ricostruzione dell’ambiente, una offerta più diffusa di servizi, una maggiore disponibilità di beni. Ma non ovunque, né per la maggioranza. La corruzione interna, alimentata dagli appetiti delle potenze occidentali, che guardano alle enormi ricchezze del Mozambico (gas naturale, oro, rubini, crostacei, terra, legno carbone,…), crea oggi malcontento e instabilità politica notevoli. Le carenze si vivono in ogni ambito sociale, soprattutto al nord del paese, dove prevalgono povertà ed insicurezza e dove l’assenza dello Stato a fianco della popolazione, permette il sorgere di conflitti da parte di gruppi non sempre identificati, violenti ed armati che minacciano la pace, faticosamente raggiunta, ma forse poco adeguatamente difesa e coltivata.

Giovanna Luisa – 4 ottobre 2022

La storia dell’accordo di pace – qui riassunta nell’apposita pagina di  Wikipedia – è raccontata estesamente, con interviste e testimonianze, nel documentario Mozambique Paths of Peace, del 2012, potete contattarci se desiderate una copia del DVD.