
Concerto Solidale a Monzambano

Sta per partire una nuova edizione del corso di lingua portoghese e cultura mozambicana tenuto dal CAM!
Il corso sarà strutturato in 10 appuntamenti, dal 16 novembre al 1 febbraio, e si svolgerà in modalità online per dare la possibilità di partecipare anche a chi non è vicino a Trento. La parte di lingua sarà tenuta da Nicola Baggiani, insegnante di portoghese con diverse esperienze lavorative a Lisbona. La piattaforma utilizzata sarà Google Meet e sarete seguiti dalla tutor Francesca Capacci.
Il costo è di €50.
Il corso è di livello base, corrispondente al livello A1 del quadro linguistico europeo, e si pone l’obiettivo di favorire un primo approccio alla lingua e alla cultura mozambicana. Il corso è strutturato in due momenti: si alternerà una lezione interamente dedicata alla lingua (dalle 18:00 alle 19:30) ad una suddivisa tra lingua e cultura mozambicana (dalle 17:30 alle 20) in cui, oltre alla correzione degli esercizi di lingua, verranno trattati temi come musica, arte, geografia ecc. raccontati da esperti e amici del CAM.
A tutti gli interessati condivideremo il calendario dettagliato e il programma del corso.
Per maggiori informazioni o per iscrivervi scriveteci a info@trentinomozambico.org
A presto!
Testimonianza di Massimiliano e Tatiana, in Mozambico per il loro progetto di ricerca, che ci raccontano impressioni, esperienze e spaccati di vita quotidiana dopo due mesi dal loro arrivo.
“Il Mozambico è una terra piena di fascino, di sorprese e di attesa.
Siamo arrivati qui, due mesi fa, con l’intenzione di parlare di resilienza, per applicarla nella ricostruzione dei centri di salute e raccontarla alla comunità. Oggi, seduti nell’ufficio di Beira o in missione nei distretti rurali della provincia, il Mozambico ci mostra la sua versione di resilienza. La straordinaria capacità delle persone di sorriderti sempre, di chiederti se hai bisogno di qualcosa e il saluto di chiunque subito seguito dalla domanda “como està?”. Le case in pao-a-piqué, i bairros informali in espansione, le baracche a bordo strada che vendono frutta, copertoni e saponette. Il tempo è dilatato. Si aspetta molto e sempre, dall’ordine in un bar ad una carta dal ministero della salute. Si aspetta l’ultimo minuto per aggiustare qualcosa, per risolvere un problema, spesso anche per agire. Nonostante ciò, nella vita di tutti i giorni la povertà e le ferite lasciate dalle innumerevoli catastrofi che hanno colpito i mozambicani, si spalleggiano alla naturale spinta a rialzarsi, a ri-adattarsi e a continuare.
Le case de mãe-espera
Dopo lunghe attese e innumerevoli cambi di programma anche la nostra ricerca si è delineata con resilienza. Il lavoro sui centri di salute si è focalizzato sulla caratteristica casa de mãe-espera, una struttura indispensabile nelle aree rurali per avvicinare le mamme in dolce attesa ai centri di salute, dove esperar (aspettare) in compagnia di altre mamme più esperte, un luogo in cui le cure di una levatrice permettono di partorire in sicurezza.
Il sistema delle case de mãe-espera è molto recente (2009), nato dalla necessità delle famiglie di salvaguardare il delicato momento del parto e ridurre la mortalità materno-infantile. Un contesto che purtroppo ancora ad oggi non dispone di linee guida precise, né dal punto di vista architettonico né da quello politico, in aggiunta ad una drastica mancanza di risorse economiche e numerose barriere culturali. La maggior parte di queste strutture vengono costruite con materiali tradizionali, localmente reperibili ed estremamente fragili nei confronti delle condizioni climatiche del paese, che stanno drasticamente cambiando negli ultimi anni. Tetti scoperti, camere costipate, ambienti surriscaldati e soffitti cadenti: sono le caratteristiche delle case de mãe-espera non solo della provincia di Sofala.
Abbiamo parlato con più di 30 mamme, chine sulle braci arrangiate a terra a mescolare le papinhas (acqua, farina e zucchero), sedute per terra sulla dibonde (espressione in dialetto ndau per dire “stuoie”) con i loro grossi pancioni all’ottavo o al nono mese. Mamme che non sanno cos’è l’architettura, che non ne conoscono i benefici e le bellezze perché intente ogni giorno a coltivare la terra per sopravvivere e nutrire le numerose famiglie, curare la casa, camminare per chilometri per procurarsi l’acqua. Per alcune la casa de mãe-espera dei centri di salute è un lusso. Un tetto sopra la testa e un pozzo a 3 metri dalla veranda dove prendere acqua per cucinare e per lavare le capulane non sempre sono presenti nel loro quotidiano. Negli sguardi delle donne immortalate nelle nostre foto si leggono mille domande, si chiedono chi siamo, cosa vogliamo, perché siamo lì. C’è tanta timidezza, sorridono voltandosi e coprendosi i volti quando, con il nostro portoghese sbilenco, le salutiamo e chiediamo di raccontarci la loro storia. La curiosità è tanta ma la disparità tra le nostre scarpe e le loro ciabattine infradito creano una grande barriera che in così pochi mesi è difficile abbattere.
Ad ogni visita echeggia la più grande domanda della nostra esperienza qui in Mozambico: cos’è quindi l’architettura in Africa? Un eco dello stile coloniale modernizzato in linea con le antiche ville della città di Beira o una struttura minimale, puramente funzionale, che costruita con lo stretto necessario possa garantire l’indispensabile per sopravvivere?
Siamo qui con l’aiuto del CAM e in collaborazione con UNHABITAT per cercare l’inizio alle risposte a questa e a tante altre domande. Volevamo applicare la resilienza a questo fragile paese ma ora è il Mozambico ad insegnarci il suo vero significato.
Tre mesi in Mozambico bastano per iniziare a blaterare il portoghese e qualche parolina in Ndau e Sena, provare la matapa, la xima e il pesce cucinato in tutti i modi possibili. Impari a muoverti in chopela, ad andare al mercato. In tre mesi puoi visitare Vilankulo e Ilha de Mozambique, fare un pranzo alla Lagoa, visitare il Parco di Gorongosa, macinare chilometri sulla spiaggia fino al villaggio dei pescatori. Puoi conoscere tante realtà che operano sul territorio mozambicano, associazioni, cooperanti internazionali e locali. Impari a leggere gli sguardi e le parole nascoste dietro le mascherine, a conoscere i tuoi colleghi e gli amici delle birrette al Biques. Impari la filosofia mozambicana del deixa ir, del lasciare andare, del non preoccuparti troppo (e non è sempre un bene).
Ma tre mesi non sono sufficienti per capire il Mozambico e la sua complessa mutevolezza, non bastano per avvicinarti veramente alle persone, conoscere le loro tradizioni, le molteplici realtà che circondano ogni famiglia, ogni quartiere, ogni paesaggio.
Se volete capire il Mozambico tre mesi non bastano. Ma per rimanerne affascinati sicuramente basta anche molto meno!“
Max e Tati
Ada e Valentina, le due “tesiste per caso”, sono da poco tornate dalla loro esperienza in Mozambico e in questo articolo ci raccontano le loro impressioni e le emozioni che questo magnifico quanto contraddittorio Paese ha regalato loro.
“Sorridiamo, a distanza di due mesi e mezzo dal nostro arrivo fa un certo effetto sentirsi fare la stessa domanda e ripensare a cosa è cambiato. Ci trovavamo a Vilankulos, in una delle spiagge più belle mai viste, mangiando i migliori gamberoni grigliati della nostra vita. Il cameriere sorride a sua volta, non sa nulla di noi ma ci spiega subito che, per i mozambicani, è molto importante il pensiero degli stranieri.
Certo, ne sono cambiate di cose in questi tre mesi. Prima tra tutte, capiamo quello che ci stanno dicendo e riusciamo a rispondere! Tre mesi sono pochi per farsi un’idea completa su tutto il Mozambico, viste anche le dimensioni e le varietà culturali del Paese, ma sicuramente una bella infarinatura di Beira ce la siamo fatta.
Então, gostamos muito o seu País amigo (ci piace il tuo Paese). Aqui não tem stress como na Itália. Único problema, aqui tudo acontece muuuuito devagar, (qui succede tutto molto lentamente).
La vita mozambicana non è certo frenetica e tutto avviene lentamente, in un mondo in cui “sto arrivando” significa che arriverò tra una o due ore, forse. Questa cosa ogni tanto può irritare, ma ci fa anche rendere conto di quanto invece, a casa, viviamo con ritmi a volte insostenibili e sicuramente molto stressanti.
E comunque non credete, lo stress lo abbiamo inevitabilmente vissuto anche a Beira. Del resto abbiamo in ballo una tesi di laurea magistrale, per quanto, dal nostro profilo Instagram delle tesiste.per.caso, pareva che ci stessimo facendo tre mesi di vacanza! I ritmi non erano certo quelli di Mesiano a Trento, ma le visite sul campo spesso sono state tanto belle quanto emotivamente impegnative. Essendo nate nella parte fortunata del mondo, come amaramente l’abbiamo definita, vivere i contesti più poveri di Beira è stato qualcosa di estremamente intenso.
Studiamo ingegneria da anni, abbiamo parlato ampiamente di soluzioni e gestione dei rifiuti in contesti a basso reddito, ma un conto è discuterne all’esame con il professore e un altro è vederle e toccarle con mano. Quante volte, nel corso del professor Ragazzi, si è parlato di “open burning”, di discariche incontrollate a cielo aperto, e come sembravano concetti distanti e quasi impossibili. Eppure eccole lì, davanti ai nostri occhi o sotto i nostri piedi.
La visita alla discarica di Beira è stato sicuramente uno dei momenti più intensi. Dicono che l’olfatto sia uno strumento fondamentale per la memoria, e così ci sentiamo di confermare. Non cancelleremo mai l’immagine e gli odori del camion in arrivo dal mercato del Maquinino che svuotava kg e kg di rifiuto organico putrescente quasi addosso alle persone, che vi si accalcavano intorno per cercare dei materiali ancora utili. Non scorderemo l’odore del fumo dell’inceneritore per i rifiuti ospedalieri, delle boccette di antibiotico spaccate manualmente per poi essere smaltite direttamente in fogna senza depurazione, delle casse di placente in arrivo dopo uno o due giorni di stoccaggio privo di sistemi di refrigerazione. Dall’altro canto, non scorderemo nemmeno il profumo della cucina mozambicana, l’odore della brezza marina di Ilha o di Vilankulos, le scie di profumo che si sentivano anche nei mercati più poveri e degradati quando ti passava a fianco qualcuno vestito elegantissimo dopo un bagno nella colonia.
Sembra impossibile essere già a casa dopo tre mesi che sono volati, ma che, allo stesso tempo, sono sembrati tre anni per l’intensità delle esperienze vissute. Non smetteremo mai di ringraziare il CAM per l’opportunità che ci ha dato, per l’accoglienza ricevuta in ufficio, per i contatti e i legami di amicizia che abbiamo stretto con i colleghi e con tanti altri ragazzi conosciuti a Beira. Le parole sembrano superflue e in questo vortice di emozioni post rientro sono quasi sprecate. Vorremo vivere un po’ “devagar” anche qui, riassestarci e metabolizzare bene quello che ci è successo, ma è tempo di stringere i denti e chiudere i nostri progetti di tesi. I dati portati a casa sono tanti (la capulane in valigia anche!) ma sono nulla in confronto al bagaglio di esperienze e di emozioni che mai svuoteremo.
O que achamos do Moçambique? E chi lo sa, neanche dopo tre mesi riusciamo a definirlo bene, ma è sicuramente un sentimento positivo che ci è entrato dentro e che mai ci abbandonerà. Il cammino non è ancora finito, il profilo delle tesiste è ancora aperto e pronto a riattivarsi il prima possibile per parlare di cooperazione, di partenze e di rientri, di emozioni, di tanti e diversi progetti validi, accomunati tutti da una semplice questione: le persone e il loro benessere, il Mozambico e un suo futuro sortudo, fortunato.”