Lavoro nella cooperazione internazionale da più di 20 anni e sono donna. E come me, altre tantissime donne italiane e di tutto il mondo, hanno fatto dei progetti di sviluppo e cooperazione internazionale l’ambito della loro vita professionale, e non solo: perché lavorare in questo settore – soprattutto se si vive o si va in lunga missione nei Paesi dove i progetti sono realizzati – significa anche abbracciare uno stile di vita personale particolare (ad es vivere lontano dalle proprie città e famiglie di origine, cambiare Paese di residenza frequentemente, ritrovarsi frequentemente in contesti politici, sociali e culturali molto diversi, etc. ….).
Molti dati statistici ci raccontano che negli ultimi anni il numero di donne che lavora nella cooperazione internazionale è aumentato e tante sono le strategie, politiche e piani di lavoro che le Organizzazioni Internazionali (tra cui l’ONU), le ONG e le Associazioni adottano per promuovere una maggiore inclusione di donne (con background diversi) nella loro forza lavoro. Tante sono anche le risoluzioni delle Nazioni Unite che mirano ad avere maggiore presenza femminile nei negoziati di pace e laddove le decisioni importanti vengono prese. [1]
In particolare, l’attuale (e precedente) Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha fatto della “gender parity” uno degli obiettivi principali del suo mandato, finalizzando una Strategia specifica per raggiungere la parità di genere dentro il sistema ONU, soprattutto a livelli manageriali. [2]
Perché c’è tutta questa attenzione ad aumentare il numero di donne nella cooperazione internazionale e soprattutto a livello di posizioni di “presa di decisione”?
Come il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha detto “l’inclusione significativa delle donne nel processo decisionale aumenta l’efficacia e la produttività, porta nuove prospettive e soluzioni sul tavolo, sblocca maggiori risorse e rafforza gli sforzi in tutti i pilastri del nostro lavoro. “
L’idea fondamentale dietro l’avere più donne in questo ambito di lavoro non è quella di raggiungere determinati numeri (50/50 uomini e donne nello staff, numero che può apparire “forzato” perché vuole rispettare il diritto a pari opportunità per uomini e donne in ambito lavorativo, e numero che potrebbe essere non più necessario quando si potrà garantire che uomini e donne qualificati per un dato lavoro avranno pari opportunità di accedervi). Si tratta piuttosto di creare un ambiente di lavoro che abbracci l’uguaglianza, elimini i pregiudizi e includa tutto il personale con le sue caratteristiche di diversità (tra cui il sesso) per rispettarle e valorizzarle. E aiuti allo stesso tempo ad affrontare le problematiche legate allo sviluppo da una prospettiva diversa, quella appunto delle donne (con tutte le loro specifiche diversità); ad indossare quelli che in gergo si chiamano “gender lens” (occhiali di genere) per osservare e capire le realtà in cui i progetti vanno ad operare, facendo attenzione ai bisogni specifici ed alle diseguaglianze sofferte dalle donne di diversi contesti.
Si può allora arrivare a capire che una donna, magari anziana, magari analfabeta, di una specifica etnia in un paese determinato può avere più difficoltà ad accedere a servizi di educazione o sanitari, proprio a causa di queste sue caratteristiche identitarie; si può anche vedere che una donna disabile potrebbe avere più difficoltà ad accedere ad iniziative generatrici di reddito a causa del suo essere donne e disabile; si potrebbe osservare che in alcuni Paesi, il quadro legislativo di riferimento o il diritto consuetudinario o la giurisprudenza religiosa, potrebbe vietare alle donne di andare a scuola, avere un conto bancario, guidare un’auto, etc… etc…
E’ chiaro quindi che se le Organizzazioni per lo sviluppo prendono sul serio le disuguaglianze di genere, identificano gli attori radicati a livello locale e individuano le dinamiche socio-culturali (ma anche legali e politiche) che alimentano tali diseguaglianze, possono fornire un supporto flessibile e pragmatico – ma anche tecnico – agli attori locali che già stanno lottando per società più giuste ed egalitarie e sostenere processi che mirano a pari diritti e pari opportunità in quel particolare contesto. Poiché le disuguaglianze di genere sono vissute nella vita di tutti i giorni, è anche in quelle situazioni specifiche che dovrebbero essere cambiate. Ciò richiede azioni forti, continue e sostenute da parte delle organizzazioni femminili locali e di tutti gli altri attori, compresi i responsabili politici e gli operatori dello sviluppo, che vogliono cambiare una delle ingiustizie più grandi e tenaci al mondo: appunto, la diseguaglianza di genere.