Coinvolgere uomini e ragazzi per promuovere la parità di genere, l’esempio dei “club degli adolescenti”

Coinvolgere uomini e ragazzi per promuovere la parità di genere, l’esempio dei “club degli adolescenti”

Affrontare le norme sociali e porre fine alla violenza di genere: il prezioso ruolo dei club per ragazzi in Mozambico

Sofala, Mozambico – Almeno tre volte al mese, diversi gruppi di ragazzi e giovani maschi adolescenti, di età compresa tra i 13 e i 20 anni, si incontrano per discutere di argomenti che vanno dalla sessualità, al genere, dai matrimoni precoci alla mascolinità tossica. Qual è l’obiettivo? Creare un cambiamento positivo nelle loro comunità. Gli incontri si tengono solitamente in cortili scolastici, nella provincia di Sofala, contribuendo ad attrarre ancora più giovani a partecipare.

Che la sua scuola a Beira sia uno spazio inclusivo libero dalla violenza di genere (GBV) è uno dei sogni del quattordicenne Cleiton Adriano. L’adolescente frequenta la prima media e conduce attività di sensibilizzazione con i suoi coetanei. Nell’agosto 2022, Cleiton Adriano ha ricevuto una formazione sulla GBV nell’ambito di un progetto di UNFPA per migliorare la salute riproduttiva, materna e adolescenziale nella provincia di Sofala, con i fondi della Korea International Cooperation Agency (KOICA).

Realizzato dal partner di UNFPA, Consorzio Associazioni con il Mozambico (CAM), in 14 scuole dei distretti di Beira, Dondo, Nhamatanda e Búzi, il progetto promuove l’emancipazione femminile e contribuisce a cambiare positivamente comportamenti, atteggiamenti e pratiche maschili, coinvolgendo ragazzi e giovani uomini a rispondere – e mitigare – la violenza di genere nelle loro scuole secondarie.

All’inizio del 2022, un totale di 14 membri del “club dei ragazzi” [rapazes, ovvero ragazzi maschi n.d.T.] sono stati formati come leader per guidare le discussioni con gli 84 membri del “club dei ragazzi adolescenti”. Tali corsi di formazione sono stati realizzati con il supporto tecnico delle Direzioni Provinciali dell’Istruzione e della Sanità.

Due dei membri che si sono uniti al club sono Leonel e Benilton, entrambi studenti delle elementari. Leonel ricorda che era solito fare il prepotente con le ragazze, in particolare le sue compagne di classe a scuola: “Dopo aver partecipato alle sessioni, ho capito che le mie idee erano sbagliate e ora voglio condividere informazioni positive con i miei colleghi e la comunità”, ha commentato Leonel. Benilton ha condiviso che quando si è unito alle sessioni guidate dal suo facilitatore, Cleiton, ha cambiato il suo comportamento e ora i suoi genitori sono molto orgogliosi di lui. “Le sessioni non solo hanno cambiato la mia vita, ma grazie a loro ho compreso e aiutato a denunciare casi di violenza di genere nella mia comunità”.

Coinvolgere uomini e ragazzi per promuovere la parità di genere

Ad oggi, i “club dei ragazzi” hanno raggiunto circa 434 adolescenti e giovani, insieme ad altre sessioni di sensibilizzazione nelle scuole e nelle comunità. “Uno dei grandi risultati è stato il cambiamento di mentalità di alcuni genitori e tutor che credevano che il coinvolgimento dei propri figli maschi in attività che affrontano la violenza di genere e la salute sessuale e riproduttiva avrebbe compromesso la loro mascolinità”, ha condiviso Cremilda Gravata, una delle 14 insegnanti formate in GBV nell’ambito del progetto KOICA e che sostiene il club dei ragazzi della sua scuola secondaria. Adriano Cerveja, della Direzione provinciale dell’Istruzione di Sofala, sostiene l’idea che i ragazzi (maschi) abbiano svolto un ruolo cruciale nella denuncia della violenza di genere, del bullismo e di altre pratiche dannose. Hanno anche indirizzato gli adolescenti a servizi sanitari a misura di giovane per la pianificazione familiare e altri supporti, informazioni e consigli relativi alla salute.

Dal 2022, il progetto pluriennale finanziato da KOICA consente a ragazzi come Cleiton nella provincia di Sofala di educare e ispirare i loro coetanei a sfidare gli stereotipi sulla mascolinità e il comportamento a rischio e a rafforzare il loro ruolo nella promozione dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere.

Diffondere messaggi positivi sull’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle ragazze è stato uno dei miei compiti quotidiani a scuola”, ha affermato Cleiton, osservando che uno dei suoi più grandi desideri è “diventare un agente di cambiamento positivo nella mia comunità”

“Sono riuscito a convincere alcuni membri a unirsi al club dei ragazzi e ora sono orgoglioso di vedere i loro cambiamenti trasformativi nel comportamento, nelle azioni e nella mentalità“, ha osservato Cleiton.

“Diffondendo messaggi sulla prevenzione e la lotta alla violenza di genere e sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi, i ragazzi hanno apportato effettivi cambiamenti comportamentali a scuola”, condivide Cremilda Gravata

 Dall’articolo “Combater as normas sociais e acabar com a violência baseada no género: o valioso papel dos clubes de rapazes em Moçambique” pubblicato sul sito web di UNFPA Mozambique.

Traduzione dal portoghese a cura di Martina Seppi.

Foto in alto – Consorzio Associazioni con il Mozambico.
Foto nel testo – UNFPA Mozambique.

Per saperne di più sul progetto vedi anche: Un nuovo progetto per contrastare ogni forma di violenza di genere

 

Un progetto per Giorgia

Un progetto per Giorgia

È passato un anno da quando Giorgia Depaoli ci ha lasciati. Il suo impegno nella cooperazione internazionale è stato fonte di ispirazioni per molti di noi che hanno avuto il piacere di conoscerla.

In particolar modo, Giorgia si interessava dei diritti delle donne e della battaglia per la parità di genere, temi che promuoviamo attraverso diversi progetti di sviluppo umano, alcuni dei quali nati dalla collaborazione con Giorgia. Per rendere omaggio alla sua missione di una realtà sociale in cui uomini e donne hanno pari diritti, abbiamo deciso insieme ai genitori e ad alcuni amici di Giorgia, di lanciare un progetto in suo ricordo, che avrà lo scopo di:

  1. costruire una sala chiamata “Sala Giorgia” che sarà adibita alle attività promosse dal gruppo donne “parità di genere” a Caia – euro 16.000 €
  2. assicurare un contributo annuale per lo svolgimento delle attività di sensibilizzazione ai diritti delle donne di euro 3.000 € per tre anni

Queste attività si svolgeranno a Caia, dove dal 2018, Giorgia collaborava con diverse realtà territoriali per fare in modo che tutte le donne avessero il modo di esprimere le proprie idee. Grazie alla sua esperienza di oltre 20 anni nella cooperazione internazionale, nella progettazione e nella gestione di fondi, il CAM garantirà la serietà e la continuità del progetto.

Chiunque volesse contribuire al progetto, verrà informato dello stato avanzamento lavori e di tutte le attività del gruppo donne “parità di genere“.

Le donazioni possono essere trasmesse tramite bonifico bancario con la causale “Ricordiamo Giorgia” intestato al nostro IBAN. Tutti i versamenti sono fiscalmente detraibili.

 

————————–

Cogliamo l’occasione per rilanciare l’intervista a Giorgia pubblicata a inizio 2022 da ACCRI che l’associazione ACCRI aveva scritto riguardo a Giorgia, in cui lei spiegava cosa significhi essere una donna nella cooperazione internazionale e il motivo per cui è importante investire nella presenza femminile nell’ambito degli aiuti internazionali.

Contribuisci al progetto "Ricordiamo Giorgia"

Se lo desideri, qui puoi scaricare per diffonderlo il volantino di presentazione del progetto preparato da alcuni famigliari e amici di Giorgia!

VOLANTINO PDF

Un nuovo progetto per contrastare ogni forma di violenza di genere

Un nuovo progetto per contrastare ogni forma di violenza di genere

In molti stati africani, come il Mozambico, il concetto di violenza di genere non è pienamente compreso a livello culturale, e la popolazione spesso non è adeguatamente informata sull’argomento. Per questo motivo, attori governativi e non si stanno impegnando a rafforzare il quadro legislativo a riconoscere la violenza di genere come un crimine. È quindi fondamentale contribuire alla creazione di una società più giusta in cui uomini, ragazzi, donne e ragazze condividano pari opportunità in termini di accesso ed esercizio dei loro diritti umani, e contribuiscano al benessere di tutti.

Negli ultimi anni, ci sono stati alcuni miglioramenti in Mozambico con l’approvazione di strumenti chiave, sia a livello nazionale che internazionale. Infatti, l’Unione Europea, le Nazioni Unite e alcuni stati africani, tra cui il Mozambico, hanno approvato il piano di lavoro annuale 2020 dell’iniziativa Spotlight (clicca qui per apprfondire) per porre fine alla violenza e alle pratiche dannose contro donne e ragazze.

Sulle orme di questa iniziativa è nato il progetto “Scuole inclusive e libere da ogni forma di violenza di genere” (per saperne di più, clicca qui), finanziato dall’Agenzia Coreana per la Cooperazione Internazionale ed implementato grazie alla partnership con UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione), il CAM e il Ministero della Salute del Mozambico. L’obiettivo è quello di espandere gli effetti di questo processo di sensibilizzazione nella provincia di Sofala per contribuire allo sradicamento della violenza contro le donne da parte di uomini e ragazzi, per sensibilizzare giovani e adulti sulla violenza di genere dal punto di vista dei diritti umani, e sul ruolo che possono svolgere nel combattere questo fenomeno. Come è emerso ampiamente in precedenza, l’istruzione gioca un ruolo cruciale nel rendere le persone, e specialmente i bambini, capaci di diventare attori attivi nel trasformare le loro società e cambiare le cause alla radice della violenza, e specialmente della violenza di genere.

In occasione del lancio del progetto, abbiamo intervistato Nicola Camandona, responsabile CAM del progetto a Beira.

– Com’è stato accolto il progetto? I riscontri sono apparsi subito positivi oppure qualcuno ha mostrato perplessità e/o riluttanza?

Il progetto è stato accolto bene in tutte le scuole, in tutti i casi si tratta della prima iniziativa sul tema della violenza di genere dedicata a studenti e non a studentesse, quindi una novità interessante. Ovviamente il processo sarà lungo e ci vorra tempo sia per gli studenti che per le scuole in generale per digerire alcune tematiche, ma siamo fiduciosi.

Un piccolo progetto, ma con grandi margini di crescita!

Nicola Camandona

Responsabile CAM del progetto

–  Spesso sono donne a seguire progetti  relativi alla violenza di genere, com’è coordinare una tale iniziativa essendo un uomo? Secondo te è un valore aggiunto oppure a volte può essere limitante?

Credo che la nostra sia una squadra ben organizzata. Io sono uomo, ma la mia collega e responsabile delle attività di campo è una ragazza – Sheila Duarte. Questo ci da equilibrio. Personalmente penso che sia interessante da uomo affrontare queste tematiche e coordinare questo progetto. Non lo vedo come un limite, soprattutto perchè i beneficiari diretti sono dei ragazzi. Forse questo può aiutare anche loro.

– Nel progetto sono coinvolti diversi attori, da agenzie internazionali ad attori locali, puoi spiegarci come interagiscono e si relazionano in questa partnership? Ci sono state difficoltà nell’armonizzare diversi standard e metodologie di lavoro?

Sicuramente non è stato semplice inizialmente organizzare i diversi attori in campo. Si tratta di istituzioni pubbliche e agenzie internazionali ed è stato personalmente complicato capire alcune dinamiche. Ora credo però che la situazione sia decisamente migliorate e si sia trovato un buon equilibrio tra tutti gli attori. Nella pratica il CAM funge da anello di congiunzione tra UNFPA e gli attori locali. Siamo noi responsabile dei rapporti con le direzioni provinciali di educazione e salute, con le direzioni provinciali e con le stesse scuole. All’inizio può sembrare confuso ma una volta conosciute personalmente tutte le persone è stato più semplice gestire i rapporti.

– Qual è il ruolo del CAM in questo progetto? Ha un ruolo molto attivo?

Il CAM oltre a gestire i rapporti istituzionale, come precedentemente detto, si occupa di tutto quello che è la gestione logistica delle attività e della parte di contenuti. Abbiamo un ottimo di team internazionale di esperti di GBV (gender-based violence, violenza di genere) Eugenio Gujamo e Sara Borrillo che si sono occupati di sviluppare i manuali di formazione per i corsi che abbiamo organizzato per professori e per studenti ed un manuale per le attività di sensibilizzazione che gli studenti formati stanno mettendo in pratica nelle proprie scuole. Inoltre ora inizia un fase molto importante, sempre gestita dal CAM, che prevede una ricerca – tanto a livello locale quanto a livello internazionale – che porterà allo sviluppo di un nuovo manuale di best practice da utilizzare in caso di casi di violenza di genere all’interno delle scuole.

A cura di Anna Mattedi

Io, donna e cooperante internazionale

Io, donna e cooperante internazionale

In occasione della giornata internazionale della donna, condividiamo questo articolo che fa parte del numero di dicembre 2021 del giornale semestrale ACCRIinforma, curato dall’associazione ACCRI.

Giorgia Depaoli, trentina ed ex collaboratrice del CAM, è economista e si occupa di sviluppo internazionale, con più di 20 anni di esperienza sul campo, maturata in differenti Paesi e in particolare sull’uguaglianza di genere. È Cavaliera al merito per l’impegno a favore delle donne e per “Trento si aiuta”.

Lavoro nella cooperazione internazionale da più di 20 anni e sono donna. E come me, altre tantissime donne italiane e di tutto il mondo, hanno fatto dei progetti di sviluppo e cooperazione internazionale l’ambito della loro vita professionale, e non solo: perché lavorare in questo settore – soprattutto se si vive o si va in lunga missione nei Paesi dove i progetti sono realizzati – significa anche abbracciare uno stile di vita personale particolare (ad es vivere lontano dalle proprie città e famiglie di origine, cambiare Paese di residenza frequentemente, ritrovarsi frequentemente in contesti politici, sociali e culturali molto diversi, etc. ….). 

Molti dati statistici ci raccontano che negli ultimi anni il numero di donne che lavora nella cooperazione internazionale è aumentato e tante sono le strategie, politiche e piani di lavoro che le Organizzazioni Internazionali (tra cui l’ONU), le ONG e le Associazioni adottano per promuovere una maggiore inclusione di donne (con background diversi) nella loro forza lavoro. Tante sono anche le risoluzioni delle Nazioni Unite che mirano ad avere maggiore presenza femminile nei negoziati di pace e laddove le decisioni importanti vengono prese. [1]

In particolare, l’attuale (e precedente) Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha fatto della “gender parity” uno degli obiettivi principali del suo mandato, finalizzando una Strategia specifica per raggiungere la parità di genere dentro il sistema ONU, soprattutto a livelli manageriali. [2]

Perché c’è tutta questa attenzione ad aumentare il numero di donne nella cooperazione internazionale e soprattutto a livello di posizioni di “presa di decisione”?

Come il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha detto “l’inclusione significativa delle donne nel processo decisionale aumenta l’efficacia e la produttività, porta nuove prospettive e soluzioni sul tavolo, sblocca maggiori risorse e rafforza gli sforzi in tutti i pilastri del nostro lavoro. “

L’idea fondamentale dietro l’avere più donne in questo ambito di lavoro non è quella di raggiungere determinati numeri (50/50 uomini e donne nello staff, numero che può apparire “forzato” perché vuole rispettare il diritto a pari opportunità per uomini e donne in ambito lavorativo, e numero che potrebbe essere non più necessario quando si potrà garantire che uomini e donne qualificati per un dato lavoro avranno pari opportunità di accedervi).  Si tratta piuttosto di creare un ambiente di lavoro che abbracci l’uguaglianza, elimini i pregiudizi e includa tutto il personale con le sue caratteristiche di diversità (tra cui il sesso) per rispettarle e valorizzarle. E aiuti allo stesso tempo ad affrontare le problematiche legate allo sviluppo da una prospettiva diversa, quella appunto delle donne (con tutte le loro specifiche diversità); ad indossare quelli che in gergo si chiamano “gender lens” (occhiali di genere) per osservare e capire le realtà in cui i progetti vanno ad operare, facendo attenzione ai bisogni specifici ed alle diseguaglianze sofferte dalle donne di diversi contesti.

Si può allora arrivare a  capire che una donna, magari anziana, magari analfabeta,  di una specifica etnia in un paese determinato può avere più difficoltà ad accedere a servizi di educazione o sanitari, proprio a causa di queste sue caratteristiche identitarie; si può anche vedere che una donna disabile potrebbe avere più difficoltà ad accedere ad iniziative generatrici di reddito a causa del suo essere donne e disabile; si potrebbe osservare che in alcuni Paesi, il quadro legislativo di riferimento o il diritto consuetudinario o la giurisprudenza religiosa, potrebbe vietare alle donne di andare a scuola, avere un conto bancario, guidare un’auto, etc… etc…

E’ chiaro quindi che se le Organizzazioni per lo sviluppo prendono sul serio le disuguaglianze di genere, identificano gli attori radicati a livello locale e individuano le dinamiche socio-culturali (ma anche legali e politiche) che alimentano tali diseguaglianze, possono fornire un supporto flessibile e pragmatico – ma anche tecnico – agli attori locali che già stanno lottando per società più giuste ed egalitarie e sostenere processi che mirano a pari diritti e pari opportunità in quel particolare contesto. Poiché le disuguaglianze di genere sono vissute nella vita di tutti i giorni, è anche in quelle situazioni specifiche che dovrebbero essere cambiate. Ciò richiede azioni forti, continue e sostenute da parte delle organizzazioni femminili locali e di tutti gli altri attori, compresi i responsabili politici e gli operatori dello sviluppo, che vogliono cambiare una delle ingiustizie più grandi e tenaci al mondo: appunto, la diseguaglianza di genere.

Tornando alla presenza delle donne nella cooperazione internazionale, i dati [3] che emergono dagli opendata inseriti (nel 2019) dalle organizzazioni non governative italiane nel portale Open Cooperazione, dicono che delle 20.127 risorse umane impiegate dalle ONG nella cooperazione internazionale, il 46% sono donne il 54% uomini. Un sostanziale pareggio che si squilibra quando si considerano solo le risorse umane operanti all’estero, dove il numero degli uomini aumenta sensibilmente. Squilibrio ancora più significativo quando si guarda ai vertici delle Organizzazioni. 

Al vertice delle ONG italiane a ricoprire la carica di presidente c’è una donna nel 30,9% dei casi contro il 69,1% degli uomini. Un dato simile riguarda i top manager e/o segretari generali: la percentuale di cariche ricoperte da donne si attesta al 33,7% mentre quella degli uomini è del 66,3%.  

Pare allora evidente che tanti sono ancora gli ostacoli ad una partecipazione femminile nella cooperazione internazionale, soprattutto a livelli decisionali : i) gli stereotipi di genere che modellano il modo in cui le donne e gli uomini sono percepiti, influenzando anche il loro accesso a pari diritti ed opportunità; ii) i pregiudizi inconsci  che portano uomini e donne ad adottare determinati comportamenti, anche senza rendersene conto, verso l’altro sesso; iii) la cultura organizzativa  che non sempre percepisce e rispetta i bisogni specifici delle donne e non sempre facilita la creazione di condizioni appropriate per cui esse possano bilanciare vita professionale e vita domestica, ad esempio;  iv) il contesto socio-culturale che in certe aree geografiche impedisce / rende difficile che le donne locali possano lavorare nell’ambito della cooperazione allo sviluppo (ad esempio, le donne sminatrici di mine anti-uomo e di ordigni esplosivi in Afghanistan si sono viste minacciate nel 2018 per il lavoro che facevano e rischiano purtroppo la loro stessa vita ora, in questi  mesi di presa al potere da parte dei Talebani).

Come Michelle Obama dice Non c’è limite a quello che noi donne possiamo raggiungere. Speriamo non ci siano più limiti, in futuro, alla presenza che le donne possono avere nella cooperazione internazionale e al contributo che la loro presenza può offrire per avere un mondo più giusto, inclusivo e con pari diritti ed opportunità.

[1] In risposta alle persistenti pressioni della società civile, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU) ha adottato dieci risoluzioni su “Donne, pace e sicurezza”. Queste risoluzioni sono: 1325 (2000); 1820 (2009); 1888 (2009); 1889 (2010); 1960 (2011); 2106 (2013); 2122 (2013); 2242 (2015), 2467 (2019) e 2493 (2019). Queste risoluzioni costituiscono l’Agenda per le donne, la pace e la sicurezza. Guidano il lavoro per promuovere l’uguaglianza di genere e rafforzare la partecipazione, la protezione e i diritti delle donne durante tutto il ciclo del conflitto, dalla prevenzione dei conflitti alla ricostruzione postbellica

[2] https://www.un.int/news/secretary-general-launches-un-system-strategy-gender-parity

[3] https://www.info-cooperazione.it/2019/04/donne-ai-vertici-delle-ong-il-terzo-settore-fa-tre-volte-meglio-delle-imprese-e-del-pubblico/

Il CAM contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale!

Il CAM contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale!

Nei mesi di settembre e ottobre, numerosi membri dello staff di coordinamento del CAM in Italia ed in Mozambico hanno dedicato il loro tempo ad approfondire, attraverso corsi online o in presenza, una tematica molto delicata: quella della Prevenzione contro lo Sfruttamento ed Abuso Sessuale (PSEA è l’acronimo inglese). Che ci crediate o meno, nessun ambiente, lavorativo o quotidiano che sia, è totalmente esente dall’insorgere di illeciti di questo tipo: una corretta informazione è la prima arma di prevenzione.

Seguendo l’esempio delle grandi ONG internazionali, anche il CAM ha deciso di fare la propria parte e di impegnarsi al massimo per aumentare la consapevolezza dei propri dipendenti, collaboratori e beneficiari. Con il prezioso aiuto dello staff di UNICEF, è stato attivato un percorso che mira a formare ed informare sulla tematica gli operatori, i partner implementatori, i fornitori e tutti coloro che beneficiano direttamente ed indirettamente delle azioni dell’associazione. 

Con un lavoro di squadra multi-livello, il CAM si è inoltre dotato di due policy interne: una che delinea le norme e le linee guida adottate dal team a prevenzione, identificazione e condanna di soprusi sul lavoro; l’altra a tutela dei Whistleblower, ovvero tutti coloro che, in buona fede ed in via confidenziale, segnalano casi sospetti di sfruttamento e/o abuso sessuale. Infine, sono stati rafforzati o creati nuovi strumenti di comunicazione rivolti ad operatori e beneficiari (poster, contatti email e telefonici dedicati) per favorire eventuali processi di denuncia o segnalazione.

 

Talvolta, l’omertà non è frutto del poco coraggio, bensì di visioni culturali differenti o consuetudini consolidate che rendono questi atti “normali. Le formazioni sono state occasioni per aumentare la consapevolezza e per dimostrare che illeciti di questo tipo possono compromettere non solo l’integrità delle persone, ma anche i risultati ottenuti in questi anni grazie al duro lavoro del CAM.

In ultimo, ma non meno importante, si è cercato di convogliare il messaggio fondamentale che denunciare o segnalare un illecito, per quanto difficile, rimane senza alcun dubbio la soluzione migliore per preservare un sano ambiente lavorativo. Nel caso delle vittime di abuso o sfruttamento la denuncia non è soltanto una grande prova di coraggio, ma è anche un atto di grande resilienza personale e sociale.

Per la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ci impegniamo a diffondere questa campagna di comunicazione internamente al CAM, convinti che la violenza si combatte ogni giorno a partire dai luoghi che frequentiamo abitualmente.

                                                                                           Sofia Rinaldi