In occasione della giornata internazionale della donna, condividiamo questo articolo che fa parte del numero di dicembre 2021 del giornale semestrale ACCRIinforma, curato dall’associazione ACCRI.

Giorgia Depaoli, trentina ed ex collaboratrice del CAM, è economista e si occupa di sviluppo internazionale, con più di 20 anni di esperienza sul campo, maturata in differenti Paesi e in particolare sull’uguaglianza di genere. È Cavaliera al merito per l’impegno a favore delle donne e per “Trento si aiuta”.

Lavoro nella cooperazione internazionale da più di 20 anni e sono donna. E come me, altre tantissime donne italiane e di tutto il mondo, hanno fatto dei progetti di sviluppo e cooperazione internazionale l’ambito della loro vita professionale, e non solo: perché lavorare in questo settore – soprattutto se si vive o si va in lunga missione nei Paesi dove i progetti sono realizzati – significa anche abbracciare uno stile di vita personale particolare (ad es vivere lontano dalle proprie città e famiglie di origine, cambiare Paese di residenza frequentemente, ritrovarsi frequentemente in contesti politici, sociali e culturali molto diversi, etc. ….). 

Molti dati statistici ci raccontano che negli ultimi anni il numero di donne che lavora nella cooperazione internazionale è aumentato e tante sono le strategie, politiche e piani di lavoro che le Organizzazioni Internazionali (tra cui l’ONU), le ONG e le Associazioni adottano per promuovere una maggiore inclusione di donne (con background diversi) nella loro forza lavoro. Tante sono anche le risoluzioni delle Nazioni Unite che mirano ad avere maggiore presenza femminile nei negoziati di pace e laddove le decisioni importanti vengono prese. [1]

In particolare, l’attuale (e precedente) Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha fatto della “gender parity” uno degli obiettivi principali del suo mandato, finalizzando una Strategia specifica per raggiungere la parità di genere dentro il sistema ONU, soprattutto a livelli manageriali. [2]

Perché c’è tutta questa attenzione ad aumentare il numero di donne nella cooperazione internazionale e soprattutto a livello di posizioni di “presa di decisione”?

Come il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha detto “l’inclusione significativa delle donne nel processo decisionale aumenta l’efficacia e la produttività, porta nuove prospettive e soluzioni sul tavolo, sblocca maggiori risorse e rafforza gli sforzi in tutti i pilastri del nostro lavoro. “

L’idea fondamentale dietro l’avere più donne in questo ambito di lavoro non è quella di raggiungere determinati numeri (50/50 uomini e donne nello staff, numero che può apparire “forzato” perché vuole rispettare il diritto a pari opportunità per uomini e donne in ambito lavorativo, e numero che potrebbe essere non più necessario quando si potrà garantire che uomini e donne qualificati per un dato lavoro avranno pari opportunità di accedervi).  Si tratta piuttosto di creare un ambiente di lavoro che abbracci l’uguaglianza, elimini i pregiudizi e includa tutto il personale con le sue caratteristiche di diversità (tra cui il sesso) per rispettarle e valorizzarle. E aiuti allo stesso tempo ad affrontare le problematiche legate allo sviluppo da una prospettiva diversa, quella appunto delle donne (con tutte le loro specifiche diversità); ad indossare quelli che in gergo si chiamano “gender lens” (occhiali di genere) per osservare e capire le realtà in cui i progetti vanno ad operare, facendo attenzione ai bisogni specifici ed alle diseguaglianze sofferte dalle donne di diversi contesti.

Si può allora arrivare a  capire che una donna, magari anziana, magari analfabeta,  di una specifica etnia in un paese determinato può avere più difficoltà ad accedere a servizi di educazione o sanitari, proprio a causa di queste sue caratteristiche identitarie; si può anche vedere che una donna disabile potrebbe avere più difficoltà ad accedere ad iniziative generatrici di reddito a causa del suo essere donne e disabile; si potrebbe osservare che in alcuni Paesi, il quadro legislativo di riferimento o il diritto consuetudinario o la giurisprudenza religiosa, potrebbe vietare alle donne di andare a scuola, avere un conto bancario, guidare un’auto, etc… etc…

E’ chiaro quindi che se le Organizzazioni per lo sviluppo prendono sul serio le disuguaglianze di genere, identificano gli attori radicati a livello locale e individuano le dinamiche socio-culturali (ma anche legali e politiche) che alimentano tali diseguaglianze, possono fornire un supporto flessibile e pragmatico – ma anche tecnico – agli attori locali che già stanno lottando per società più giuste ed egalitarie e sostenere processi che mirano a pari diritti e pari opportunità in quel particolare contesto. Poiché le disuguaglianze di genere sono vissute nella vita di tutti i giorni, è anche in quelle situazioni specifiche che dovrebbero essere cambiate. Ciò richiede azioni forti, continue e sostenute da parte delle organizzazioni femminili locali e di tutti gli altri attori, compresi i responsabili politici e gli operatori dello sviluppo, che vogliono cambiare una delle ingiustizie più grandi e tenaci al mondo: appunto, la diseguaglianza di genere.

Tornando alla presenza delle donne nella cooperazione internazionale, i dati [3] che emergono dagli opendata inseriti (nel 2019) dalle organizzazioni non governative italiane nel portale Open Cooperazione, dicono che delle 20.127 risorse umane impiegate dalle ONG nella cooperazione internazionale, il 46% sono donne il 54% uomini. Un sostanziale pareggio che si squilibra quando si considerano solo le risorse umane operanti all’estero, dove il numero degli uomini aumenta sensibilmente. Squilibrio ancora più significativo quando si guarda ai vertici delle Organizzazioni. 

Al vertice delle ONG italiane a ricoprire la carica di presidente c’è una donna nel 30,9% dei casi contro il 69,1% degli uomini. Un dato simile riguarda i top manager e/o segretari generali: la percentuale di cariche ricoperte da donne si attesta al 33,7% mentre quella degli uomini è del 66,3%.  

Pare allora evidente che tanti sono ancora gli ostacoli ad una partecipazione femminile nella cooperazione internazionale, soprattutto a livelli decisionali : i) gli stereotipi di genere che modellano il modo in cui le donne e gli uomini sono percepiti, influenzando anche il loro accesso a pari diritti ed opportunità; ii) i pregiudizi inconsci  che portano uomini e donne ad adottare determinati comportamenti, anche senza rendersene conto, verso l’altro sesso; iii) la cultura organizzativa  che non sempre percepisce e rispetta i bisogni specifici delle donne e non sempre facilita la creazione di condizioni appropriate per cui esse possano bilanciare vita professionale e vita domestica, ad esempio;  iv) il contesto socio-culturale che in certe aree geografiche impedisce / rende difficile che le donne locali possano lavorare nell’ambito della cooperazione allo sviluppo (ad esempio, le donne sminatrici di mine anti-uomo e di ordigni esplosivi in Afghanistan si sono viste minacciate nel 2018 per il lavoro che facevano e rischiano purtroppo la loro stessa vita ora, in questi  mesi di presa al potere da parte dei Talebani).

Come Michelle Obama dice Non c’è limite a quello che noi donne possiamo raggiungere. Speriamo non ci siano più limiti, in futuro, alla presenza che le donne possono avere nella cooperazione internazionale e al contributo che la loro presenza può offrire per avere un mondo più giusto, inclusivo e con pari diritti ed opportunità.

[1] In risposta alle persistenti pressioni della società civile, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU) ha adottato dieci risoluzioni su “Donne, pace e sicurezza”. Queste risoluzioni sono: 1325 (2000); 1820 (2009); 1888 (2009); 1889 (2010); 1960 (2011); 2106 (2013); 2122 (2013); 2242 (2015), 2467 (2019) e 2493 (2019). Queste risoluzioni costituiscono l’Agenda per le donne, la pace e la sicurezza. Guidano il lavoro per promuovere l’uguaglianza di genere e rafforzare la partecipazione, la protezione e i diritti delle donne durante tutto il ciclo del conflitto, dalla prevenzione dei conflitti alla ricostruzione postbellica

[2] https://www.un.int/news/secretary-general-launches-un-system-strategy-gender-parity

[3] https://www.info-cooperazione.it/2019/04/donne-ai-vertici-delle-ong-il-terzo-settore-fa-tre-volte-meglio-delle-imprese-e-del-pubblico/