Un anno fa il ciclone Idai ha seminato morte e distruzione nel Mozambico centrale, colpendo soprattutto la città di Beira.

Vogliamo ricordare ciò che è successo, ma anche il lavoro di ricostruzione ed il rimboccarsi le maniche dell’intera città, con un estratto dalla testimonianza di Paolo Ghisu, rappresentante del CAM in Mozambico, che ripercorre con emozione quelle difficilissime giornate e l’impegno lungo un anno per far rinascere Beira.

Giovedì 14 marzo non ero a Beira. Ero a Caia, dove per fortuna il ciclone Idai non è arrivato. Qualche settimana prima c’era stato un altro ciclone che si era abbattuto su Beira e il centro del paese. La città si era allagata, come sempre accade quando piove. Il vento aveva provocato parecchi danni. Si sapeva, da qualche giorno, che questa volta sarebbe stato molto più forte. I danni di gran lunga maggiori, in tutto il centro del paese.

Fin dalla mattina del 14 marzo il vento era molto forte, nel tardo pomeriggio si è alzato e ha iniziato a fare i primi danni. Alberi divelti. I tetti iniziavano a volare via. Fino alle 22.30 di notte sono rimasto in contatto sia con i colleghi e amici. Tutti erano al sicuro, ma impauriti.

Poi il vuoto. Per quattro giorni non sono riuscito a comunicare con nessuno. Venerdì e sabato quasi nessuna notizia attendibile. Beira era un buco nero. Isolata. Irraggiungibile.

L’unica strada d’accesso alla città era impercorribile perché in diversi punti l’acqua se l’era portata via. Finalmente domenica le prime notizie attendibili e le prime immagini. Tanta distruzione, macerie, acqua.

Beira è una città estremamente fragile. La popolazione è in continuo aumento. La disoccupazione è molto alta, soprattutto tra i giovani. Le infrastrutture sono completamente inadeguate. Le strade piene di buche. I servizi scarseggiano. E’ soggetta ad allagamenti di continuo.

Solo il lunedì sono riuscito a parlare con alcuni colleghi e amici. Provati, impauriti, ma stavano bene. Fin da subito si erano messi messi all’opera per ridurre i danni e affrontare le necessità della prima emergenza. Mercoledì sono tornato in città. L’ufficio era una piccola immagine della città intera.

Il tetto era in parte scoperchiato. Non c’erano più le finestre. Alcune porte divelte. Era allagato. Gli archivi e il materiale erano sul pavimento.

Una delle prime necessità è stata quella di sgomberare le strade dalle macerie che ostacolavano gli spostamenti urbani.

Con i fondi in giacenza abbiamo comprato del materiale per gli operai e i volontari addetti alle pulizie (badili, rastrelli, carriole, ecc.) e abbiamo fornito loro cibo e acqua per diversi giorni.

Nel frattempo le alluvioni avevano provocato danni enormi alle zone rurali del centro del paese. I campi erano stati allagati, i raccolti andati persi. Interi villaggi erano stati spazzati via. E poi il colera. Che per diverse settimane ha colpito la popolazione, uccidendo decine di persone, sia in città che nelle campagne. Nei mesi successivi è arrivata la siccità, colpendo soprattutto le zone rurali. Una grossa parte della popolazione nel centro del Mozambico ha vissuto grazie agli aiuti umanitari.

Dopo circa due settimane i servizi base in città (elettricità, acqua, linee telefoniche, ecc.) sono stati ripristinati. Ad un anno di distanza Beira è tornata a quella fragile precarietà di prima del ciclone. Parecchie abitazioni private ed edifici pubblici sono stati rimessi in sesto, anche se i danni sono ancora evidenti. Ad esempio, in diverse scuole e centri di salute mancano ancora i tetti. Nel frattempo la stagione delle piogge cominciata a dicembre ha portato altre inondazioni e provocato disagi. Nuovi investimenti arriveranno per cercare di migliorare i servizi e le infrastrutture di una città estremamente precaria.

In questi mesi il CAM ha contribuito con diverse attività alla ricostruzione della città. Grazie all’importantissimo sostegno di numerosi donatori individuali così come di agenzie internazionali.

Con un progetto finanziato da UNICEF e da donatori privati trentini e italiani, il CAM ha riabilitato il sistema idraulico e fognario in un ospedale periferico e in tre scuole. Inoltre, nelle stesse scuole sono state igienizzate tutte le aule che sono state utilizzate per accogliere centinaia di sfollati nelle settimane successive al ciclone. E’ stato costruito un bagno pubblico di quartiere in uno dei quartieri maggiormente colpiti dal colera, e sono state fatte delle campagne di sensibilizzazione sull’igiene personale e salute pubblica alla popolazione.

Grazie al sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo è stato riabilitato il centro di smaltimento dei rifiuti sanitari presso l’ospedale centrale di Beira – che ospita l’unico impianto dedito allo smaltimento dei rifiuti sanitari (infettivi, anatomici, perforanti) in città.

In collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) e il Municipio di Beira è stato ripristinato l’accesso alla discarica municipale e migliorato il sistema di viabilità interna, smantellata una delle discariche provvisorie in centro città sorte all’indomani del ciclone e riparato un camion per la raccolta dei rifiuti. Inoltre, abbiamo continuato a fornire appoggio tecnico al municipio con l’obiettivo di riavviare il normale sistema di raccolta di rifiuti urbani che in questi mesi è stato messo a dura prova dalla scarsità di mezzi e fondi e dagli sforzi fatti dal personale del municipio per la ricostruzione.

Estratto dalla testimonianza di Paolo Ghisu, Beira, 13 marzo 2020

Nei prossimi anni il CAM continuerà il suo impegno a fianco del municipio e della popolazione di Beira, in particolare nell’ambito della gestione dei rifiuti solidi urbani, così come indentificato dal municipio di Beira nel documento per la ricostruzione resiliente della città (Beira – Municipal Recovery and Resilience Plan. A Roadmap to Building Beira Back Better).

Vuoi sapere di più sui fondi raccolti dal CAM per l’Emergenza Idai? Leggere le cronache di quei giorni e le testimonianze degli operatori sul campo nel post emergenza? Vai al dossier Idai