Riportiamo di seguito un’intervista de La Repubblica all’ ex vescovo di Pemba – Luiz Fernando Lisboa, il quale ha lasciato il Mozambico lo scorso febbraio in seguito alla ricezione di ripetute minacce per il suo impegno socio-politico a Capo Delgado.

Mozambico, l’ex vescovo di Pemba: “Minacce di morte dal governo. Sono anni che lanciamo appelli a Maputo. Inutilmente” di Raffaella Scuderi

 

Luiz Fernando Lisboa ha vissuto in Mozambico per vent’anni, di cui 8 da vescovo nella regione di Cabo Delgado, diocesi di Pemba. Brasiliano, 65 anni e senza paura. C’è voluto papa Francesco per convincerlo ad andarsene dal Mozambico, a febbraio di quest’anno. Le minacce di morte stavano diventando troppe. Dal 2017, anno del primo attacco importante al Nord degli estremisti mozambicani, Lisboa non ha mai smesso di parlare. Ha dato voce alla gente della sua diocesi, più povera dei già poveri mozambicani, denunciando l’inizio di una guerra che se fosse rimasta inascoltata da Maputo, avrebbe messo in ginocchio una regione intera del Paese. Lo chiamano “la voce del popolo”, e aveva ragione. L’attacco alla città di Palma il 24 marzo, con decine di morti, fosse comuni, teste decapitate e migliaia di dispersi e sfollati, ne è la dimostrazione.

-Monsignore, chi la minacciava? Gli estremisti?

No. Il governo. Ho ricevuto prima minacce di espulsione, poi di sequestro dei documenti, e alla fine di morte”.

-Come fa a essere sicuro che fosse il governo?

“Maputo ha negato la guerra fin dall’inizio. Quando il conflitto e il pericolo sono diventati evidenti, ha proibito che se ne parlasse. Ha impedito ai giornalisti di fare il loro lavoro. Un reporter è scomparso da aprile dell’anno scorso. Lavorava per una radio comunitaria e parlava della guerra. Nel suo ultimo messaggio diceva che era stato circondato dalla polizia. La Chiesa era la unica che parlava della situazione. E al governo non andava bene. Soprattutto non tollerava che uscissero le notizie dallo Stato. Orgoglio nazionale, business, Quando un anno fa la conferenza episcopale, in un documento, condannò quello che stava accadendo, le autorità hanno reagito male iniziando a gettarmi fango addosso”.

-Perché Maputo minimizza la presenza dell’estremismo?

“Non vogliono che si parli male del Paese. Noi ci siamo appellati perché il governo chiedesse aiuto alla comunità internazionale. Da solo non ce la fa. E lo stiamo vedendo. Il nostro appello è arrivato al Parlamento europeo, e due commissioni mi hanno chiesto di esporre la situazione”.

-Cosa le ha detto il Papa?

“Dopo la visita in Mozambico papa Francesco ha sempre seguito la situazione di Cabo Delgado. Ad agosto dell’anno scorso mi ha chiamato per dirmi che ci stava molto vicino, che pregava per noi e che voleva darci la benedizione. Grazie al suo intervento la guerra si è internazionalizzata. Dopo le sue parole molta gente ha iniziato a interessarsi alla guerra. A dicembre ha donato 100 mila euro per la costruzione di ospedali e per gli sfollati”.

Lo ha risentito dopo le minacce di morte?

Il 18 dicembre l’ho incontrato in Vaticano. Voleva sapere com’era la situazione. Evidentemente aveva più informazioni di me. Sapeva che correvo dei rischi e mi ha proposto di trasferirmi in Brasile”.

Cosa sta succedendo a Cabo Delgado?

“Risorse, multinazionali e guerre. Tre cose che trovi sempre insieme. La situazione sta peggiorando velocemente. Sono in contatto con tanta gente della diocesi di Pemba e di Palma (luogo dell’attacco del 24 marzo, ndr). Molte persone sono ancora nascoste nella boscaglia. Altre sono riuscite ad arrivare in un’altra città, Nangade. Ci sono tanti vecchi, bambini e gente che non sa come sopravvivere. Mi hanno detto che gli elicotteri dei contractor hanno lanciato bombe colpendo terroristi, ma anche civili”.

-Ha vissuto tanti anni in Mozambico. Dove nasce questa violenza estremista?

“Il Mozambico è uno dei 10 Paesi più poveri del mondo. E la regione del Nord è la più povera. Nell’ultimo anno ho assistito a un’inversione della politica pubblica, non più preoccupata per la popolazione: salute, educazione. Gente povera, senza lavoro, malata e analfabeta. I giovani non hanno un futuro perché non possono studiare: non c’è la scuola secondaria. Una provincia povera e abbandonata, anche se ricca. La situazione ideale per la guerra: povertà, molte risorse e questioni etniche. Tutti elementi importanti per un conflitto”.

-Lei cosa ha fatto?

“Diversi anni fa abbiamo avvisato il governo locale e centrale che c’erano dei gruppi che mancavano di rispetto ai leader musulmani. Il governo non ha prestato la dovuta attenzione. E questi individui sono cresciuti diventando sempre più forti. Fino alla rivolta del 2017”.

Che siano o no sponsorizzati dall’Isis, rimane un mistero. Analisti sostengono che la rivendicazione del Califfato sia un fake. Qual è la sua opinione?

“Gli estremisti usano il nome dello stato islamico. Ma questa non è una guerra religiosa. Se lo fosse stata ci avrebbero attaccato. Ma loro assaltano tutti, e distruggono sia chiese che moschee. Uccidono leader cristiani e musulmani. Questa è una guerra economica per appropriarsi delle risorse naturali: gas liquido, oro, rubini, pietre semipreziose. Al momento ci sono più di 700 mila sfollati e più di 2 mila morti”.

-Come vive la popolazione? C’è chi dice che non abbiano fatto resistenza all’assalto.

C’è una totale mancanza di rispetto per i diritti umani. Sia da parte dei terroristi che del governo. La popolazione ha paura di entrambi. Gli estremisti hanno rubato le uniformi, le armi dell’esercito e il cibo. Si presentano come militari. Per la gente è una situazione tremenda. Vedono l’esercito e per loro sono terroristi. Le forze militari in qualche modo abusano delle persone. Ma anche i soldati sono delle vittime, perché stanno in una guerra in cui non vogliono stare”.

-Da poco hanno scoperto giacimento di gas liquido. Sono stati investiti miliardi di dollari proprio a Cabo Delgado. Ci sono i francesi, gli americani e gli italiani. Cosa comporta?

“La relazione tra le multinazionali e la regione non è buona. Il modo in cui queste grandi imprese fanno le cose, non va bene. Ci sono leggi che ti dicono come compiere dei passi: consultazioni con la popolazione, partecipazione alla discussione. Ma non lo fanno. E la popolazione deve lasciare le sue terre. Questo crea discontento”.

-Non ha mai avuto paura?

“No. Non ho mai smesso di parlare. La Chiesa è la voce di chi non ha voce. Come potevo stare zitto?”

-Le manca il Mozambico?

“Sarei rimasto. Mi manca tanto. Tutti i giorni chiedo informazioni e sento amici e missionari. E anche da qui cerco sempre di capire come aiutare quel Paese. Ho chiesto a tutti i missionari e le missionarie della regione, di andare via subito da Palma”.

Cosa porta nel cuore di quei 20 anni?

“La cosa più bella è stata vedere quella gente così povera accogliere altri poveri nelle loro case. Si prendevano anche due o tre famiglie, non avendo quasi nulla, né spazio, né cibo. Questo non lo dimenticherò mai. Sono un esempio di umana condivisione”.