Credo che i cambiamenti più grandi siano quelli silenziosi, che non fanno troppo rumore. Avvengono a piccoli passi, lentamente, insinuandosi nella mentalità e nelle abitudini delle persone, con discrezione.
Come quando da piccoli volevamo fare gli astronauti, e poi crescendo, abbiamo capito che non si poteva fare. Con il tempo abbiamo fatto spazio a nuove idee, nuovi valori, siamo diventanti più realistici e forse più disillusi.
E siamo cambiati.
Rivoluzioni invisibili, ma non per questo meno importanti.
Una piccola rivoluzione é passata anche nello sperduto villaggio di Caia, meta di camionisti e viaggiatori di passaggio tra le due rive del fiume Zambesi. La nostra piccola rivoluzione é stata una folata di vento femminista che, insieme alle piogge, ha portato un po’ d’aria fresca nella piccola città.
Comincia tutto l’otto marzo. Anche qui si celebra la Giornata della Donna con grande festa. Invece di mimose qui si scambiano coloratissime capulane, ma il senso rimane quello.
Per un giorno infatti le donne sono al centro dell’attenzione, ricevendo regali e cortesie.
Un giorno dell’anno. Poi per tutto il resto dei mesi tornano a casa ad accudire i figli o a lavorare nella machamba.
Tagliamo subito la testa al toro: non é facile essere una donna, a Caia. Soprattutto in una cultura fortemente agricola e patriarcale che rappresenta il pensiero dominante in queste terre.

A quanto pare, qui l’uomo é l’indiscusso capo della famiglia. E la donna ha il solo ruolo di occuparsi di marito e figli e lavorare la terra. Spesso senza discutere, né avere parola in merito.
Non esistono alternative. Fin da quando se ne ha memoria, qui si é sempre fatto così, e a nessuno verrebbe mai in mente di cambiare questo (dis)equilibrio delle parti.
Una brezza diversa é soffiata settimana scorsa, quando é stata organizzata una settimana di incontri e formazioni sul genere, per cercare di cambiare, poco a poco, questa narrativa dominante. Il Consorcio é stato uno dei principali promotori di questa iniziativa rivolta a donne attiviste e ai rappresentanti delle istituzioni locali. E per alcuni giorni non si é parlato altro che di genere, uomini, donne, società, tradizioni, globalizzazione e femminismo.

I fiori credo li vedremo tra molto tempo ma é stato bello assistere intanto alla prima semina di questi dibattiti.
Rivoluzioni silenziose, si diceva.
La formazione si é aperta con l’arrivo di Carlota Inhamussua, una attivista di Beira e convinta femminista, assieme alla sua assistente. É cominciata con una presentazione delle attività con donne e rappresentanti di associazioni del distretto.

Donne, ragazze, mamme, tutte entusiaste di partecipare ad una formazione che le riguardasse in prima persona e che le potesse dare gli strumenti necessari per capire che che uomini e donne hanno stessi diritti e doveri, e dovrebbero avere anche le stesse opportunità.
È stato un incontro all’insegna della solidarietà femminile. Tra di loro hanno condiviso sogni, speranze, paure e ostacoli. E hanno dialogato per capire insieme dove finiscono le tradizioni locali e inizia l’ingiustizia sociale.

Perchè dev’essere sempre e solo l’uomo il “capo” della famiglia? Perchè sono io che devo preparare i pasti, accudire i figli, occuparmi della casa e dei campi?
Un passo non indifferente. L’arrivo di Carlota ha portato temi molto provocatori in questa società così conservatrice, ma necessari a stimolare il dialogo.
Un dialogo lungo, che continuerà per altri sei incontri durante l’anno, e che si tradurranno in piccole azioni pilota all’interno dei villaggi, per introdurre il tema dei pari diritti tra le capanne.

I giorni seguenti la formazione é continuata con i rappresentanti delle istituzioni locali.

Questa volta il gruppo era misto, uomini e donne. Perché, in fondo, la questione del genere non é un tema che riguarda solo le donne, ma anche (o soprattutto) gli uomini. È stato interessante vedere scaturire un sano dibattito e confronto tra le parti, che nasce con la linea divisoria tracciata da Carlota su un foglio, tra le differenze biologiche e sociali di uomo e donna.

Da lì é partita una vivisezione dettagliata di tutte le differenze -vere o presunte- che sembrano ostacolare un rapporto onesto e uguale. Alla fine siamo giunti ad un consenso unanime nell’individuare come non esistano differenze biologiche naturali che possano giustificare tutta l’elaborata architettura sociale che abbiamo costruito e che vincola fortemente i rapporti uomo-donna. Possiamo chiamarla genericamente “società”, oppure “religione” o “tradizioni”. Sta di fatto che tante artificiosità umane, che non hanno motivi reali, possono essere ancora messe in discussione e ripensate. Operazione non semplice, come dimostra la ritrosia di un partecipante che ad un certo punto si domanda: “D’accordo con la teoria. Ma i nostri nonni, i nostri avi hanno agito sempre nella stessa maniera, e questo é quello che ha tenuto le nostre famiglie solide e unite negli anni”. Insomma, non un passo facile quello di coloro che si confrontano con la realtà intorno a loro, decisamente in controtendenza rispetto alle idee progressiste che quel giorno circolavano nell’aria.

In generale, un passo che mi ricorda anche l’eterno dilemma dell’uomo occidentale, quando si confronta con una tradizione e una cultura non sua, e la sua smania di poter cambiare le cose. Cosa salvare? E cosa si può cambiare, senza stravolgere la cultura nella quale mi trovo, in un’ottica di pari diritti per tutti?
Sono convinto che le tradizioni debbano essere rispettate e preservate. Ma certo, non é detto che non possano essere cambiate, o migliorate, soprattutto se perpetrano diseguaglianze e discriminazioni.
Lentamente e silenziosamente, come tutte le grandi rivoluzioni.

Forse noi possiamo solo fornire l’esempio di decenni di lotte e conquiste sociali che oggi, per certi versi, hanno ancora il sapore di una vittoria di Pirro, dove tante battaglie sono purtroppo ancora necessarie. Forse dall’altra parte dell’Equatore si può ancora imparare dai nostri errori, e avere una chance di non doverli ripetere, come un leap-frog tecnologico, o, per meglio dire, culturale.
Di sicuro la Storia ci insegna come il processo sia lungo e complicato… ma questa sarà la loro Storia. E questi giorni ne abbiamo scritto appena il primo capitolo.

Dopodichè Carlota assegna a tutti i compiti per casa: INFORMARE, EDUCARE, MOTIVARE. Affida a noi, ai presenti, il compito di fare tesoro dei dibattiti e delle discussioni di quelle giornate e di diffonderle e applicarle nella propria vita, nella comunità e nel proprio lavoro.
Alla fine scrosciano i sorrisi e gli applausi. Tutti sembrano aver apprezzato la formazione. Ce ne vorrebbero di più, e piú spesso. Qualcuno propone un incontro al mese, magari.
“Perché no? ” sorride Carlota.
Un gruppo di donne già continuerà questa formazione lungo tutto l’arco del 2018. Ma anche i coordinatori e i mobilizzatorid i Caia sono stati chiamati a continuare il lavoro di “appropriazione degli aspetti di genere” nel corso dei prossimi mesi.
Vediamo cosa fermenterà in questa piccola città.
Di certo, ne sentiremo ancora parlare.