Io, medico in pensione, non potevo stare a casa

Io, medico in pensione, non potevo stare a casa

Il Corriere del Trentino di oggi pubblica una testimonianza del nostro volontario Gianpaolo Rama sul suo impegno tra il Trentino e in Mozambico in questa emergenza.

La pandemia da Coronavirus ha reso ancor più evidente che le vite di tutti i popoli della terra sono interconnesse, e allo stesso tempo ne sta mostrando con cruda evidenza le enormi differenze di possibilità di prevenzione e cura. Mentre i Paesi dell’occidente annaspano nel controllo della diffusione del virus e si affannano a trattare i propri cittadini con l’infezione più grave, i Paesi poveri si limitano a mettere in atto alcune misure di prevenzione (lavarsi frequentemente le mani e isolare le persone con l’influenza), ben sapendo che la loro capacità di attuare il distanziamento sociale e di trattare i malati di covid19 è quasi nulla. In Mozambico ad oggi vi sono dieci casi documentati con tampone, ma nessuno conosce l’effettiva diffusione dell’epidemia data la limitata la capacità diagnostica.

Fin dai primi giorni di marzo, quale referente sanitario, assieme allo staff del CAM, mi sono preoccupato di organizzare le linee guida delle azioni che il CAM dovrà mettere in atto in Mozambico ad ogni fase dell’epidemia. Esse prevedono sia l’acquisto di dispositivi di protezione e materiali per l’igienizzazione e la disinfezione -con aumento di costi imprevisti-, sia le norme da seguire relative alla limitazione della mobilità e, quando diverrà necessario, la sospensione di tutte le attività non ritenute essenziali o di pubblica utilità, che dovranno proseguire anche in piena epidemia. Rientrano tra queste l’assistenza domiciliare che i Cuidados Domiciliarios fanno ai malati gravi, e la raccolta dei rifiuti urbani e speciali ospedalieri.

Il settore sanitario, l’Associazione Mbaticoiane ed i Cuidados Domiciliarios, con la guida del loro coordinatore sig. Elias Lanquene e con il nostro supporto, si sono già messi a disposizione della Direzione Distrettuale Sanitaria per le attività di prevenzione dell’epidemia. Orientati dalla Direzione Sanitaria, stanno percorrendo tutte le zone del Distretto informando la popolazione sulle misure da mettere in atto per la prevenzione dell’epidemia, e su come affrontare e quale comportamento tenere alla comparsa di sintomi suggestivi di infezione. Inoltre gli operatori socio-sanitari del CAM hanno montato un posto fisso di educazione sanitaria e di lavaggio obbligatorio delle mani con acqua e sapone sulle principali vie di accesso alla cittadina di Caia.

Anche la radio comunitaria, creata dal CAM, contribuisce ad informare ed educare la popolazione del distretto.

Mentre accompagnavo regolarmente le comunicazioni del rappresentante locale CAM Paolo Ghisu sulle attività di prevenzione attuate a Beira, così come le comunicazioni di Elias sull’evoluzione delle attività, ero tuttavia afflitto per l’aggravarsi della situazione sanitaria in Italia ed in Trentino. Perciò non ho potuto fare a meno che rispondere prontamente all’invito che l’Azienda Sanitaria mi ha rivolto di rientrare in servizio e dare il mio contributo all’assistenza dei malati di covid19. Sono stato collocato nell’Ambito delle Giudicarie, dove da tre settimane collaboro con i Medici di Medicina Generale ad assistere -sia con un regolare monitoraggio telefonico che con visite a domicilio- i malati con l’infezione. Alcuni assistiti hanno un contagio lieve, ma altri, più gravemente compromessi, necessitano di assistenza più intensa, o di ricovero ospedaliero.

Quello che accomuna tutti i malati ed i loro familiari sono l’isolamento e la necessità di attuare gravose misure di distanziamento fisico e protezione individuale. Non è facile per un medico abituato a dialogare, guardare in faccia, visitare e stringere la mano del paziente, doversi rifugiare dietro occhiali protettivi, maschera chirurgica, cuffia, doppi guanti e camice e riuscire, così bardati ed isolati, a comunicare indicazioni, consigli e la necessaria empatia. Come riuscire a dare sicurezza e un minimo di serenità alle famiglie? L’aspetto che più mi ha colpito ed addolorato di questo dramma è la solitudine nella quale molti anziani, ed anche figli ed assistenti si sono improvvisamente trovati nell’affrontare la malattia e la sofferenza. Sono molti gli anziani che ci stanno lasciando portandosi via un pezzo di memoria storica, di affetto e di saggezza.

Mi sembra il dramma universale che stiamo vivendo ci induca varie riflessioni: tra le quali, innanzitutto, che la sofferenza che stiamo ovunque sperimentando passi invano.

Noi umani siamo fragili ed accomunati dallo stesso destino. Abbiamo potuto ri-scoprire, a caro prezzo, quello che vi è di più essenziale nella vita. Dobbiamo smettere di deturpare la Terra, la Natura l’ambiente e di sfruttare intensamente le sue risorse. Dobbiamo difendere la biodiversità ed i diritti di tutte le specie animali. Dobbiamo difendere i beni comuni, tra cui il Servizio Sanitario pubblico che negli anni è stato fortemente privato di risorse, ma si è dimostrato l’unico capace di equità ed universalità, in grado di proteggere e curare ogni persona nelle situazioni più gravi, promuovendo con ciò la salute di tutti. Che nei prossimi anni, forse un po’ più poveri economicamente, si possa essere imparare ad essere più ricchi umanamente e concretamente accomunati al destino di tutti i nostri fratelli che abitano il pianeta, questa è la mia e la nostra speranza.

Il Mozambico si prepara all’emergenza – testimonianze da Beira

Il Mozambico si prepara all’emergenza – testimonianze da Beira

Abbiamo chiesto al personale italiano che attualmente opera in Mozambico con il CAM una testimonianza sulla situazione attuale nel Paese, sulla riorganizzazione delle attività e sulle percezioni.

L’emergenza sta arrivando nel Paese, come si sta organizzando il CAM e come sta cambiando la vostra quotidianità?

Paolo Ghisu – responsabile del CAM in Mozambico: come prima cosa sono state applicate tutte le misure di sicurezza igienico-sanitaria per la prevenzione dei contagi negli uffici del CAM a Beira, Caia, e Marromeu a partire dal lavaggio delle mani obbligatorio per chiunque entri, il distanziamento delle postazioni di lavoro e la promozione dello smartworking nei pochi casi in cui è attuabile, molti progetti stanno rallentando o riorganizzandosi e seguiamo con attenzione l’evolversi della situazione in Italia e in Mozambico. A parte questo la nostra quotidianità non è cambiata moltissimo, sicuramente non è stata stravolta come quella degli italiani.

Come si stanno riorganizzando le attività di progetto che seguite?

Paolo GhisuCi sono attività che sono state rallentate o sospese, in particolare quelle che comportavano riunioni di gruppi di lavoro, altre invece riadattate (come l’impegno degli educatori delle escolinhas che abbiamo raccontato qui), alcune proseguono modificando per il momento solo alcune pratiche operative (microcredito – in realtà per ora per il microcredito non cambia molto che io sappia), altre assolutamente non si potranno fermare, come l’attività di assistenza domiciliare, che continuerà a seguire le persone più vulnerabili aumentando le attività di sensibilizzazione proprio per rispondere all’emergenzaNei prossimi giorni si terrà una formazione sulla prevenzione covid-19 che preparerà un ampio gruppo di attivisti dell’area socio-sanitaria ad operare per la sensibilizzazione nelle comunità.

Dario Guirreri responsabile tecnico del progetto Limpamos a Nampula: a Nampula abbiamo sospeso le attività del progetto LimpaMos, purtroppo non c’erano le condizioni per proseguire poiché il lavoro necessitava di un forte coinvolgimento dell’amministrazione locale, di molte riunioni impossibili da condurre nella situazione di emergenza. Inoltre per per scelte organizzative e di sicurezza sono stato trasferito a Beira dove sto ora coadiuvando i colleghi sulle altre parti del lavoro.

Federico Berghi – responsabile del progetto Limpamos: a Beira alcune attività sono state sospese mentre proseguono altri interventi, ad esempio la preparazione degli spazi che accoglieranno il macchinario di trattamento dei rifiuti sanitari (vedi progetto) e quelli per migliorare la segregazione dei rifiuti organici al mercato del Maquinino.

Dall’Italia, seguiamo le informazioni ufficiali: pochi casi in Mozambico ma un quasi-totale lock-down; quali vi sembrano poter essere le principali preoccupazioni per il Paese?

Dario Guirreri: al momento il Paese è nella fase emergenza 3 di 4, non ha perciò ancora attuato il lock-down, la chiusura completa come in Italia. Molti servizi (come bar, ristoranti, supermercatisono soggetti a orario limitato, i cittadini stranieri non possono entrare in Mozambico (è stato sospeso il rilascio dei visti), mentre i mozambicani che rientrano devono sottoporsi a quarantena. Il governo sta disponendo delle misure standard, orientate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (o da quanto fatto in altri contesti), che sono però difficilmente applicabili al contesto mozambicano, per ragioni sociali, culturali ed economiche. Spesso le famiglie vivono “alla giornata”, non possono fare scorta di beni alimentari perché non hanno il modo di conservarli e spesso non dispongono di servizi igienici o fonti d’acqua vicino a casa. Anche limitare l’affollamento sui mezzi di trasporto pubblici è una indicazione non sempre semplice da rispettare.

Paolo Ghisu: l’età media della popolazione estremamente bassa (17,5 anni) fa sperare che la maggior parte dei mozambicani, se contagiata, sviluppi la malattia solo in forma lieve. Tuttavia preoccupa l’altissima incidenza di sieropositività e malattie croniche (come diabete e tubercolosi). Il sistema sanitario mozambicano è debolissimo, con grandi carenze di mezzi e di personale e, nonostante l’esperienza nella gestione di crisi sanitarie come il colera (a Beira e nel centro del paese si era verificata una epidemia anche un anno fa come conseguenza del passaggio del ciclone Idai) si teme che una eventuale epidemia di covid-19 non possa contare sull’indispensabile supporto delle agenzie  e degli aiuti internazionali poiché la crisi è globale. Un altro problema sono le misure economiche a sostegno dei più colpiti dalle disposizioni di emergenza, che il paese non può adottare per mancanza di fondi: ricordiamo che il Mozambico è uno dei 10 paesi più poveri al mondo ed il bilancio statale dipende molto dagli aiuti internazionali. 

Come vivono i mozambicani questo virus? 

Dario Guirreri: all’inizio a Nampula la percezione era principalmente tra chi viveva in centro città, dopo un po’ anche gli abitanti dei bairros periferici hanno iniziato a prenderne atto. Considerando una visione che spesso è del tipo “se una cosa non si vede non c’è”, il fatto di vedere sempre più persone con le mascherine in strada, anche in luoghi poco affollati, inizia a rendere visibile l’emergenza. Nonostante il fatalismo (“fazer o que?!”) di chi è abituato alla morte per banali infezioni, di parto, di malaria, eccetera, il mozambicano comincia ad avere una maggiore preoccupazione riguardo questo nuovo virus, anche perché vi è la consapevolezza che non ci sono strumenti per affrontarlo nel Paese.

E gli italiani in Mozambico?

Federico Berghi: in tanti ci chiedono con preoccupazione come stanno le nostre famiglie e com’è la situazione nel paese. L’ambasciata d’Italia in Mozambico e il coordinamento delle ONG italiane sono presenti e disponibili, ci si coordina e si diffondono informazioni.

Intervista a cura di Maddalena Parolin e Giacomo Toniolli

Nella pagina dedicata all’emergenza Covid-19 in Mozambico puoi trovare tutte le info sul lavoro del CAM in Mozambico durante l’emergenza, notizie aggiornate dal Paese, spunti di riflessione e come sostenerci.

Coronavirus – il CAM vicino ai bambini delle escolinhas

Coronavirus – il CAM vicino ai bambini delle escolinhas

Dal 23 marzo anche in Mozambico sono chiuse tutte le scuole, come misura per rallentare i contagi e la diffusione del virus Covid-19 e così anche le quattro Escolinhas che il CAM gestisce a Caia hanno sospeso le attività, che significa non solo interrompere le attività educative per 520 bambini, ma anche il sostegno nutrizionale che viene garantito dalla merenda distribuita quotidianamente a tutti i bambini.

In questo periodo dell’anno il sostegno è particolarmente importante, poiché il mais, dal quale dipende fortemente la sussistenza della maggior parte delle famiglie, non è ancora stato raccolto e i prezzi degli alimenti sono alti. Questo certamente per l’oscillazione annuale dei prezzi legata alla stagionalità, ma anche perché inizia a farsi sentire un rallentamento generale dell’economia dovuto all’emergenza Covid-19.

Durante la seconda settimana di marzo tutti i bambini dei 4 asili sono stati sottoposti al controllo nutrizionale annuale. Su 503 visitati, ne sono stati identificati 68 con denutrizione, dei quali 9 con una situazione acuta. Questi ultimi sono stati presi in carico dall’ambulatorio specialistico dell’Ospedale Distrettuale di Caia.

Il CAM ha quindi deciso di attivare un supporto nutrizionale di emergenza, con una attività svolta “porta a porta” da parte degli educatori e specificamente rivolta ai bambini che nella giornata di screening nutrizionale sono risultati soffrire di denutrizione acuta o moderata. Gli educatori consegneranno a ciascuna famiglia un kit alimentare, composto da una serie di prodotti di base, sensibilizzando sull’importanza di utilizzare i prodotti per integrare l’alimentazione del bambino e più in generale sull’alimentazione corretta per i bambini di età prescolare. Attraverso visite periodiche monitoreranno inoltre lo stato di salute del bambino. È stata posta attenzione particolare nel trasmettere l’eccezionalità di questo sostegno, che durerà per il tempo dell’emergenza.

Gli alimenti che verranno distribuiti sono: riso, latte, uova, fagioli, zucchero e farina di arachidi. Da vari anni le arachidi vengono utilizzate nei programmi di supporto nutrizionale per i bambini denutriti in Africa (ad esempio da UNICEF e dal Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite) per il loro importante valore nutrizionale, inoltre sono un prodotto comune nell’alimentazione e nella cucina mozambicana.

In occasione delle visite alle famiglie gli educatori effettueranno anche attività di sensibilizzazione sui temi di igiene e salute in particolare con materiale informativo e spiegazioni sul Covid-19 spiegando anche ai nuclei famigliari dove gli adulti sono più in difficoltà, perché analfabeti o con disagio socio-economico, in cosa consiste la malattia, quali sono i rischi e come prevenire il contagio.

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Nella pagina dedicata all’emergenza Covid-19 in Mozambico puoi trovare tutte le info sul lavoro del CAM in Mozambico durante l’emergenza, notizie aggiornate dal Paese, spunti di riflessione e come sostenerci.

Tudo vai dar certo, Andrà tutto bene – in musica per il Mozambico

Tudo vai dar certo, Andrà tutto bene – in musica per il Mozambico

Da tanti anni collaboriamo con il nostro amico e musicista Joao Choneca, in questi giorni, ha condiviso con noi un brano speciale dedicato a questa emergenza sanitaria e al Mozambico. Guarda il video realizzato insieme a tanti amici italiani e mozambicani e scopri come è nata questa idea.

Questa musica nasce in seguito ai primi casi di Coronavirus registrati in Mozambico, mio Paese d’origine. Vivendo in Italia, ho potuto assistere con i miei occhi quanto questa epidemia sia fatale, senza serie misure di prevenzione e contenimento. La mia preoccupazione si è trasformata in musica, per raccontare con parole e immagini ciò che stiamo vivendo oggi e che, mi auguro, non debba accadere con la stessa forza, in Mozambico, così come in tutta l’Africa, dove il sistema sanitario incontrerebbe serie difficoltà nel curare tutti. Il videoclip è nato con il grande apporto della comunità mozambicana residente in Italia e relativi amici italiani, uniti tutti da un unico obiettivo: sensibilizzare e prevenire il Coronavirus, testimoniando in prima persona.

Joao Joaquim Choneca

Canzoni registrate nello sgabuzzino di casa, fra candeggina e scarpe da corsa: non possono fare diversamente gli artisti, di questi tempi, per mandare avanti i loro progetti.
Così è stato per 
Jo Choneca, musicista mozambicano che vive a Genova da dieci anni.

Purtroppo, quando il Coronavirus è arrivato, è stato sottostimato da tanti, troppi.
Se nel nostro sistema sanitario, un’eccellenza rispetto a tanti altri Paesi al mondo, siamo arrivati al limite del collasso, cosa potrà mai accadere in Africa?
Jo Choneca ha deciso di trasformare la sua preoccupazione per la famiglia lontana in musica, per raccontare con parole e immagini ciò che stiamo vivendo oggi: una testimonianza presa a cuore da amici e da tutta la comunità mozambicana residente in Italia, chiamati a raccolta dallo stesso artista, che hanno deciso di mettersi in gioco e contribuire in prima persona alla realizzazione del videoclip!

Nelle immagini realizzate con cellulari o macchine semiprofessionali, i protagonisti hanno interpretato le parole in modi molto diversi, ma efficaci per passare messaggi semplici e diretti: lavarsi le mani, usare la mascherina, evitare luoghi affollati…per proteggere le persone che amiamo.

(Arrivate fino alla fine del video, per ascoltare la voce di Z., figlia dell’artista. “Chega Coronavirus”: basta, Coronavirus!)
E una promessa: se seguiremo queste regole #tudovaidarcerto

Jo Choneca (nome completo Joao Joaquim Choneca)

Cantautore classe ’86, chitarrista e percussionista, è originario del Mozambico, Paese da cui esporta il tradizionale ritmo della Marrabenta, rendendolo moderno e accattivante alle orecchie di chi ascolta.

Sin da bambino si esibisce con il gruppo tradizionale Nyacha, con il quale realizza tour in Europa e in Asia come percussionista e back vocal.

Nel 2009 arriva a Genova dove comincia il suo percorso accademico ed universitario: contemporaneamente porta avanti, con impegno e dedizione, la sua più grande passione, la musica.

Dopo 3 anni di concerti dall’atmosfera afro-brasiliana con il suo gruppo MoSamba, decide di tentare la carriera da solista: dal 2013 la produzione musicale è sempre più densa di progetti, ai quali collaborano numerosi musicisti della scena genovese.

Jo Choneca è una ventata di freschezza, allegria, sound e groove.

Nel live esegue brani inediti, una fusion di stile e ritmi afro, pop, funk e reggae che crea un sound eclettico e originale, in portoghese e inglese.

Nel 2018 esce il suo primo brano in italiano, “Paura”, sperimentando un nuovo sound che si accosta particolarmente alla musica elettronica, senza, però, abbandonare le sue radici afro.

Operatività del CAM durante l’emergenza Covid-19

Operatività del CAM durante l’emergenza Covid-19

Gli uffici del CAM Trento rimangono chiusi durante tutto il periodo dell’emergenza Covid-19, pertanto invitiamo a non utilizzare il numero di telefono 0461-232401. Lo staff CAM lavora da casa ed è reperibile ai rispettivi indirizzi e-mail e numeri di telefono. Come sempre l’indirizzo mail generale per contattarci è cam@trentinomozambico.org.

Le attività in Mozambico stanno cominciando a riorganizzarsi per  la gestione dell’emergenza, in stretto contatto con il team del CUAMM Medici con l’Africa in Mozambico, l’ambasciata d’Italia in Mozambico, il Ministero della Salute e le direzioni di Salute di Sofala e di Caia. Oltre a rafforzare le attività di sensibilizzazione alle buone pratiche di igiene nelle comunità, attraverso gli assistenti sanitari e gli educatori delle escolinhas, si sta valutando la riorganizzazione delle attività con un piano di emergenza per i progetti nel distretto di Caia e nelle città di Beira e Nampula. Dal 23 marzo le escolinhas, come tutte le scuole, sono chiuse, ma il team sta lavorando per mantenere attiva una modalità di sostegno nutrizionale ai bambini, per i quali la merenda quotidiana offerta dalle escolinhas costituisce una integrazione dietetica a volte significativa.

Cresce infatti la preoccupazione su come il Mozambico, considerando le grandi difficoltà del fragile sistema sanitario e la forte diffusione di tubercolosi e HIV, riuscirà ad affrontare l’epidemia. Al momento ci sono solo pochissimi casi segnalati nel Paese, che però non è attrezzato per fare i tamponi per la ricerca del virus Covid-19.

#iorestoacasa ma #estamosjuntos

Rientro, libertà e salute

Rientro, libertà e salute

La testimonianza di Francesca Bina, rientrata dopo un anno di Servizio Civile a Caia.
Un momento di riflessione finale sulla sua esperienza, sulle sue sensazioni e sui suoi pensieri durante l’anno di servizio.

 

Dal mio rientro dal Mozambico mai mi sarei immaginata di ritrovarmi bloccata a casa non per mia volontà. Nelle ultime settimane mozambicane stavo cominciando a riassaporare il ritrovarmi con parenti e amici, ritrovare alcuni luoghi cari di Bologna, poter prendere la bicicletta e girare in lungo e in largo per la città, camminare sui colli all’aria aperta, ecc… tante piccole cose che in quest’anno a Caia mi erano indubbiamente mancate.

Mai mi sarei aspettata di ritrovarmi limitata nella mia libertà per un nuovo virus che ha bloccato tutto.

Ovviamente non mi sono mai sentita “non libera” in Mozambico, ma sicuramente ho dovuto rivedere alcuni miei comportamenti che qui in Italia avrei ritenuto ovvi e scontati, ma che a Caia, forse, non lo erano fino in fondo. Ho così avuto la possibilità in questo anno di confrontarmi e scontrarmi in prima battuta con il dialogo interculturale e, soprattutto, di sentirmi io diversa, di sentirmi finalmente decontestualizzata in pieno.

Non semplice, perché la sensazione che ogni tanto ho provato è quella di un piccolo soffocamento, una piccola limitazione alla mia libertà personale, alla mia libertà espressiva.

Noi occidentali difficilmente ci soffermiamo a riflettere sull’importanza e il peso che la libertà individuale esercita nell’arco di una giornata: per questo motivo, al mio rientro, con il decreto “restate a casa” per limitare la diffusione e il contagio del coronavirus emanato dal governo, ho avuto per un attimo la sensazione di ritrovarmi a Caia, in una situazione non troppo distante da quella appena lasciata. Molti pochi svaghi, molti pochi luoghi di incontro, pochissime relazioni interpersonali.

È stato così un rientro, sotto certi aspetti, graduale che mi ha permesso ancora di più di pesare e di assaporare il senso della libertà e rielaborare una moltitudine di emozioni provate nell’arco di quest’anno.

Cosa succede quando ci viene tolta la libertà? Cosa succede quando si scopre che molti vengono privati di questo diritto fondamentale? Siamo consapevoli che ci sono persone che non possono scegliere la vita che vorrebbero? Siamo coscienti di cosa significhi per noi? Riusciamo a dare un peso e un valore a questo diritto?

 

Spero che con questa situazione la società occidentale possa risvegliarsi dal suo torpore e possa osservare il baratro verso il quale ci stavamo autospingendo irreversibilmente, dando per scontato il senso di libertà.

È libertà pensare di vivere in una società illimitata, sempre volta alla crescita a scapito di altre persone, altri contesti, altre risorse?

Prima piccola conclusione: penso che oggi la grande libertà di ciascun individuo sia quella di poter scegliere di farcela con le proprie risorse, con quello che la propria terra offre, senza sfruttare o espropriare tutta una parte di mondo che rimane oppressa da questo meccanismo di neocolonialismo che noi occidentali ci ostiniamo a perpetuare.

A Caia ho imparato e visto proprio questo: le persone sono talmente attaccate al luogo in cui nascono e crescono che neanche le piogge annuali riescono a far cambiare loro idea su dove vivere. Nemmeno le alluvioni stagionali riescono a motivare le persone a cambiare casa perché è quella in cui hanno sempre vissuto. Per noi incomprensibile, ma è così. Ognuno ha il proprio campo dal quale raccoglie il necessario per poter dar da mangiare alla propria famiglie. Ed è sufficiente.

Punto secondo: sempre a Caia ho toccato da vicino la condizione della malattia e del malato: la malattia è uno stigma dal quale la persona non può liberarsi, anzi è condannata a questa sua condizione e per questo spesso emarginata.

La cura è un lusso e non sempre possibile, dipende molto dalla patologia che il paziente manifesta. In luoghi come Caia che sono –penso- il 90% del Mozambico il servizio sanitario è molto carente; il paziente è fortunato se manifesta sintomi noti come malaria, TBC o HIV, perché individuabili e trattabili con pastiglie da prendere quotidianamente, altrimenti, anche solo per un braccio rotto, non si può fare nulla perché la macchina dei raggi X è rotta e bisogna spostarsi ad Harare ad un’ora e mezza da Caia o, peggio, a Beira a dieci ore di treno se è puntuale. Ho visto persone morire per delle infezioni urinarie (banalmente delle cistiti non trattate) o per infezioni divenute ascessi e che hanno poi portato a complicazioni che qui non sarebbero neanche classificabili come tali.

Attualmente il coronavirus ha completamente paralizzato la nostra società che si è ritrovata spiazzata di fronte ad un contagio su larga scala: l’occidente ha sperimentato la paura di un’epidemia a casa sua e per questo tutta la comunità scientifica si sta mobilitando per curare e trovare delle soluzioni per rendere più innocuo il virus.

Purtroppo troppo spesso mi accorgo di quanto la storia non insegni proprio un bel niente: sempre le società si sono svegliate dopo “il grande danno” di una guerra, di una catastrofe naturale, di una legge sbagliata, ecc…non sono mai riuscite a prevenire, adottando comportamenti più responsabili e più solidali.

Perché siamo terrorizzati da questa influenza e non siamo minimamente toccati dal fato che annualmente milioni di persone perdono la vita per la malaria? Semplice, perché non ci riguarda. Non è a casa nostra. Ma le malattie hanno confini? Possono essere recluse solo ad un angolo di mondo?

 

Provo con un altro esempio, allora: perché siamo bloccati a casa da questo virus, ma non ci barrichiamo a casa perché respiriamo polveri sottili in quantità preoccupanti ogni giorno? Questo ci riguarda molto da vicino, ma perché non ha lo stesso peso che si sta portando dietro questo virus?

In Mozambico essere malati significa spesso essere abbandonati dalle proprie famiglie, significa ritrovarsi soli senza possibilità di cura, significa sentirsi ormai più morti che vivi.

Quello che vedo adesso è che, al contrario, il peso che noi occidentali diamo alla saluta e alla vita è enorme, ma non riusciamo ad essere coerenti. Ci prendiamo cura solo di noi stessi dimenticandoci della terra e di tutte le altre persone che la popolano.

Per me è stato molto importante a Caia conoscere persone che hanno già questa visione d’insieme, che riescono a mettere insieme i pezzi raccogliendo i malati e cercando loro di dare speranza, ma spiegando che la cura di sé non può prescindere dalla cura della comunità e del territorio.

In questo penso che ci sia solo da imparare e umilmente ritirarsi un pochino, smettere di sentirsi illimitati; perché questa assenza di limiti è solo una distorsione dell’idea di libertà che ci stiamo costruendo.

Francesca Bina, Bologna marzo 2020