Racconti di viaggio, di caldo, di treni, di spezie

Racconti di viaggio, di caldo, di treni, di spezie

Il resoconto di una intensa e impegnativa missione sui progetti a Caia e nei distretti limitrofi, con piccoli racconti di viaggio di Elisabetta, Enrico, Gianpaolo e Giovanna

Si è concluso un periodo intenso a Caia, con le missioni dei nostri volontari Enrico, Elisabetta, Giovanna e Gianpaolo, i quali hanno trascorso alcune settimane tra visite, incontri, monitoraggio e supervisione delle attività per alcuni dei progetti del CAM più importanti nel distretto di Caia e nei distretti limitrofi: microcredito, socio-sanitario, educazione prescolare.

IL MICROCREDITO: UN NUOVO SOFTWARE E L’AVVIO DEL PROGETTO MULHERES NO SUSTENTA

Il microcredito rappresenta un impegno pluriennale del CAM verso piccole imprese locali del distretto di Caia, di Marromeu e Cheringoma e dal 2005 ha contribuito allo sviluppo di decine e decine di attività. Nei giorni trascorsi a Caia Enrico Baldo, volontario del direttivo CAM, ha accompagnato il team locale, coordinato da Benjamim Baptista, nella delicata fase di introduzione di un nuovo software contabile per la gestione dei crediti, con il supporto di Elena Pandrin dell’ufficio amministrazione di Trento, che ha gestito tutti gli aspetti tecnici e formativi per il progetto. Il gruppo ha inoltre fatto visita ai nuovi partner istituzionali nella Provincia di Manica, dove sta partendo il progetto Mulheres No Sustenta, in partenariato con Progettomondo come capofila, Legacoop Emilia Romagna, HelpCode e Fundacao Micaia come partner implementatori, con il finanziamento di Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – Sede di Maputo. Il ruolo del CAM è la concessione di credito alle piccole imprese, in particolare a quelle a conduzione femminile per uno sviluppo economico paritario e sostenibile nel distretto di Manica, per la gestione del progetto verrà a breve aperta una nuova sede nella cittadina di Catandica.

RIORGANIZZAZIONE ALLE ESCOLINHAS

Elisabetta Cavada e Giovanna Luisa si sono occupate intensamente del progetto escolinhas, nei giorni finali dell’anno scolastico. Il progetto sta vivendo una fase di riorganizzazione, in particolare con il cambio del responsabile. Martinho Celestino è stato sostituito al coordinamento da Pinto Josè Martins. La fase di riorganizzazione ha visto anche la verifica della modulistica, del sistema di acquisti e logistica, momenti di formazione con gli educatori, supervisione ai lavori in corso per la ristrutturazione di alcuni edifici e la costruzione di altre parti. E la sera tutti al lavoro con carta forbici e colori per realizzare materiali pedagogici dimostrativi.

MONITORAGGIO PROGETTI AREA SALUTE

Altrettanto intenso è stato l’impegno di Gianpaolo Rama nell’ambito socio-sanitario, che ha seguito un programma denso di appuntamento sui diversi fronti. Il monitoraggio del progetto Follow the SUn, nella parte dedicata alle equipe sanitarie itineranti nell’interno del distretto (brigadas moveis), nella parte di azioni comunitarie, nelle attività di rendicontazione, con diversi spostamenti anche nei distretti di Marromeu e Cheringoma. Il supporto all’associazione Mbaticoyane per le attività di salute comunitaria finanziate dal CAM ma anche per la attività di gestione dell’associazione, di autofinanziamento, Incontri istituzionali e con le controparti, consegna di dotazioni sanitarie all’Ospedale di Caia. Gianpaolo inoltre è stato impegnato nella creazione di un quadro conoscitivo aggiornato su accesso all’acqua, igiene e salute, raccogliendo dati utili per futuri progetti.

Tanto lavoro, tanto impegno, un confronto costante con l’equipe locale e tutti i colleghi impegnati nei diversi ambiti. Ma anche indimenticabili momenti di viaggio, sorrisi, pranzi… abbiamo chiesto ad ognuno di loro di raccontarci qualche momento particolare dei giorni trascorsi in Mozambico, per raccontare anche il lato più divertente di queste missioni.

LE (DIS)AVVENTURE

Enrico: una delle più grandi incognite in Mozambico è prendere il treno. Non sai mai quando passerà, gli orari esposti sono del tutto indicativi. Avevo concluso la missione a Caia e io ed Elisabetta dovevamo prendere il treno che mi avrebbe portato a Beira, o almeno questa era l’idea. L’ora della partenza era ufficialmente a mezzanotte, ma dalle prime informazioni mi era abbastanza chiaro che la cosa sarebbe durata ancora a lungo. Infatti, all’orario ufficiale non c’era ancora traccia del treno e ci siamo preparati alla lunga notte nei nostri alloggi.  Verso l’una di mattina il primo imprevisto: il fischio lontano del treno ci ha fatto credere che quello fosse proprio il nostro e che fosse in arrivo alla stazione, rischiando di perderlo. In fretta e furia abbiamo caricato le valigie in macchina, svegliando Giampaolo e Giovanna che si erano resi disponibili ad accompagnarci, e velocemente ci siamo precipitati verso la stazione…per scoprire che era solo un treno merci di  carbone. Siamo tornati nuovamente all’alloggio e atteso pazientemente che delle persone in viaggio sul treno ci avvisassero con i cellulari. Solo verso le quattro il treno era segnalato in avvicinamento e così, sei ore dopo l’orario, siamo finalmente partiti.

Elisabetta: sulla via del ritorno ho insistito per farmi accompagnare da Enrico al mercato generale di Beira, convincendolo ad uscire, nonostante fosse accaldato, quando sperava di poter riposare e non certo dedicarsi a fare shopping. Lì ho fatto scorta di cannella, chiodi di garofano, anice stellato e molto altro. Enrico ha capito la mia insistenza solo quando sono arrivata all’ufficio del CAM di Trento con uno scatolone pieno di decori natalizi con il profumo speziato dal Mozambico. Enrico era lì proprio quella mattina, sempre alle prese con il famoso nuovo software del microcredito, ed è stato il primo ad acquistare gli addobbi profumati!

Giovanna e Gianpaolo: Una temperatura di quaranta gradi e più  che si protrae per giorni e giorni, induce a pensare che non esistono un Mozambico, un’ Africa, pigri, svogliati, scansafatiche, come pensa chi non c’è mai vissuto, ma un Mozambico, un’Africa resistenti, nonostante tutto, comprese le avversità del clima che, incolpevolmente, subiscono. A Beira, dove eravamo di passaggio e senza molto da fare, per uscire di casa aspettavamo le ore meno calde, quelle che andavano incontro al tramonto del sole ed alla notte che lo seguiva veloce. C’era poco tempo, ma anche poca strada da fare, prima che facesse buio, per incontrare il luogo dove consumare la cena.

Era domenica, il giorno del riposo e della festa. La musica, abusivamente, aveva oltrepassato le finestre chiuse della casa che abitavamo, ma l’origine dov’era? Non era sgradevole, ma sembrava essersi impadronita dell’intero spazio. Uscendo, volevo capire dietro quali mura, sormontate da filo spinato ad ingabbiare edifici, si stava festeggiando la modernità, ostentatamente, in barba a chi riposava all’ombra di un cancello o riprendeva a lavorare il campo arido sotto casa a cui aveva affidato una speranza.

La strada che conoscevamo Paolo ed io non prevedeva una deviazione, ma la musica arrivava certamente da lì ed io volevo vedere almeno la casa. E mi inoltrai in quella direzione. Mi accolse il silenzio. Qualcuno mi aveva visto e non voleva che trovassi una risposta? La festa era finita proprio in quel momento? Pensieri inopportuni mi appesantivano, ma, per fortuna, il mistero non ci mise molto ad essere svelato …

Il gruppo di giovani, aveva ripreso fiato e si era messo di nuovo a cantare. Neri, nell’ombra nera di un container che rasentava un’alta costruzione, sarebbero passati inosservati se non si fossero esibiti! Era soprattutto la potente voce di una di loro, che sovrastava la musica e mi impediva di procedere. Battendo i piedi all’unisono, si muovevano tutti al ritmo contagioso della musica che producevano, concentrati, instancabili, incuranti della calura. Non si erano accorti subito del pubblico inatteso che li stava seguendo, a cui avevano cominciato a sorridere presto, senza interrompersi e visibilmente soddisfatti.

Una canzone, un’altra poi un’altra ancora, un applauso, molti sorrisi e la passeggiata riprende. Ma io non sono più la stessa, non siamo più gli stessi. Certamente grata e più leggera, certamente più ricca.

L’Africa è un libro da leggere, che ancora rischiavo di aprire troppo poco

Report Salute Comunitaria 2022

Report Salute Comunitaria 2022

E’ online il Report annuale del progetto salute comunitaria, dove con parole, dati, testimonianze, immagini abbiamo provato a raccontare il 2022, con uno sguardo anche sui progetti avviati per il 2023.

Il report relaziona sul lavoro per il contrasto dell’epidemia di Colera che ha colpito il distretto e sull’avvio del nuovo progetto Follow The SUn, insieme a Medicus Mundi Italia, che ha l’obiettivo di promuovere l’accesso universale ai servizi sanitari di base in alcune aree remote della provincia di Sofala.

Leggi o scarica il report a questo link.

Un ringraziamento va a tutti i sostenitori del progetto oltre che ai collaboratori, i volontari, i partner. Si ringraziano inoltre Gianpaolo Rama, Silvia Comper, Sofia Rinaldi e gli altri operatori del CAM per le immagini.

Per sostenere anche tu il progetto, magari come regalo o ricordo per una occasione, trovi le info qui.

Per consultare o scaricare i precedenti report:

Il lavoro della Mbaticoyane: voci da Caia

Il lavoro della Mbaticoyane: voci da Caia

Come purtroppo accade in molti distretti del Mozambico, la popolazione di Caia è colpita dalla presenza di AIDS, malaria, malattie neonatali e infantili, colera e infezioni acute e croniche, spesso legate alle cattive condizioni igieniche e ambientali, alla mancanza di acqua potabile e alla difficoltà  di godere di un’alimentazione sana e varia.

A Caia, il CAM opera nell’ambito della salute comunitaria già dal 2007 e, nel corso del tempo, ha favorito la nascita dell’Associazione Mbaticoyane, in lingua Sena “prendiamoci cura l’uno dell’altro”. L’Associazione comprende al suo interno Assistenti Domiciliari, i cosiddetti Cuidados Domiciliarios, operatori comunitari di salute e volontari locali. Durante l’anno promuove iniziative come corsi di cucina e nutrizione, taglio e cucito, lingua inglese, spettacoli teatrali, percorsi di confronto con i Praticanti di Medicina Tradizionale e un programma radiofonico settimanale sulla salute.

Abbiamo chiesto al sig. Zacarias e alla sig.ra Lucia, due membri dell’Associazione, di raccontarci la loro storia, come sono entrati in contatto con questa realtà e come si svolge una loro tipica giornata.

“Mi chiamo ​​Zacarias Antonio Charles, ho 48 anni, vivo con mia moglie e i miei 9 figli e svolgo il lavoro di Assistente Domiciliare da 13 anni. Ho iniziato nel Distretto di Marromeu, nella località di Mponda, i cui pazienti vengono curati nell’ospedale distrettuale di Caia. Mentre lavoravo ho avuto l’opportunità di studiare. Ho imparato molte cose che mi hanno permesso di migliorare sul lavoro, anche se a causa del poco tempo libero è stato difficile stare al passo.”

Il sig. Zacarias è uno dei Cuidados Domiciliarios, una figura il cui compito è quello dell’assistenza domiciliare ai malati e alle loro famiglie nell’ambito della salute ma anche psichica, della nutrizione e dell’igiene.

“La cosa che mi piace di più del mio lavoro è poter assistere i pazienti della comunità che si trovano in situazioni molto critiche. Spesso i pazienti sono membri della mia famiglia o miei vicini di casa e questo mi da la forza di andare avanti. La cosa più difficile invece è convincere le persone che hanno abbandonato la terapia antiretrovirale a tornare in ospedale e riprendere il trattamento. Tempo fa ho lavorato con un paziente sieropositivo che inizialmente non aveva intenzione di seguire la terapia. Grazie a tanti colloqui e con l’aiuto della famiglia sono riuscito a convincerlo e ora è tornato in salute, prende regolarmente i medicinali, ha ripreso il suo lavoro di pastore di una chiesa e sensibilizza i membri sieropositivi della comunità a seguire il suo esempio.
In un altro caso molto difficile invece una donna aveva interrotto la terapia perché era sola e nessuno della famiglia poteva aiutarla. Soffriva anche di tubercolosi e non era più autosufficiente. Sono riuscito a convincere una sua vicina di casa, la moglie del leader comunitario, che mi aiutava soprattutto a lavarla. È stato un caso molto delicato, ma ora sono felice perché la signora sta bene.”

La sig.ra Lucia è la responsabile del counseling presso la Matchessa Mãe Lamukane.

“Mi chiamo Lucia Abel Afonso, ho 41, vivo da sola con 5 figli. Sono in questo progetto da 10 anni e ho iniziato facendo la volontaria nella comunità del Barrio di Chirimba, prima facevo la contadina. Quando ho saputo che il CAM voleva aumentare il numero di attivisti, ho assunto questo nuovo ruolo presso la Matchessa.”

La Matchessa Mãe Lamukane è una struttura inaugurata nel 2020 in cui l’Associazione Mbaticoyane svolge attività di screening dell’HIV e di consulenza su diverse tematiche sanitarie. Affianco a questo spazio è presente anche un piccolo angolo ristoro in cui si servono piatti caldi tradizionali e bevande.

“Quando arrivo sul posto di lavoro per prima cosa controllo che tutto sia pulito e in ordine, poi preparo la mia scrivania e quando le persone iniziano ad arrivare mi occupo di loro. All’angolo ristoro serviamo ai clienti biscotti, succhi di frutta, polenta e riso con carne di capretto e altro ancora.
La parte che più mi da soddisfazione del mio lavoro è vedere il cambiamento del comportamento nelle persone che dopo essere passate allo sportello e aver sostenuto il colloquio decidono di seguire i consigli che vengono loro dati.

Ad oggi lo stigma verso le persone sieropositive è diminuito rispetto al passato ma purtroppo ancora presente; è molto difficile per i malati accettare il responso quando il test mostra la positività al virus HIV.

“Lo vedo quotidianamente nel mio lavoro alla Matchessa. A volte succede che le persone, dopo aver fatto il test per l’HIV e scoperto di essere sieropositive, lascino un indirizzo di recapito falso e non siano più raggiungibili per essere seguite con la terapia. Tempo fa sono riuscita a fare un colloquio con un uomo. Appena ricevuto l’esito positivo è scappato via dicendo che sarebbe tornato il giorno dopo ma non lo ha fatto. Sono andata a cercarlo all’indirizzo che aveva lasciato perchè ci tenevo che ricevesse tutte le informazioni utili per iniziare il trattamento ma il recapito che aveva lasciato era falso.”

Prendiamoci cura l’uno dell’altro – il report salute comunitaria 2021

Prendiamoci cura l’uno dell’altro – il report salute comunitaria 2021

E’ online il Report annuale del progetto salute comunitaria, dove con parole, dati, testimonianze, immagini abbiamo provato a raccontare questo 2021.

Anche quest’anno il lavoro per la salute comunitaria si è tradotto nell’operare in prima linea anche per la prevenzione della malattia da Covid-19 e, inoltre, per il controllo di una grave epidemia di Colera che ha colpito il distretto per tutto il secondo semestre dell’anno, senza tuttavia essere debellato e necessitando pertanto di un ulteriore sostegno di tutte le parti coinvolte.

È possibile visualizzare o scaricare il report a questo link.

Un ringraziamento va a tutti i sostenitori del progetto oltre che ai collaboratori, i volontari, i partner. Si ringraziano inoltre Paolo Ghisu, Gianpaolo Rama, Silvia Comper, Sofia Rinaldi e gli altri operatori del CAM per le immagini.

Per sostenere anche tu il progetto, magari come regalo o ricordo per una occasione, trovi le info qui.

Per consultare o scaricare i precedenti report:

Too Far to Walk

Too Far to Walk

La mortalità materno-infantile rappresenta una grande sfida per il Mozambico e, ad aggravare la situazione, l’intensificarsi del cambiamento climatico causa sempre più spesso eventi catastrofici. 

Massimiliano e Tatiana, attraverso la loro ricerca svolta con il CAM e UN-Habitat nelle province di Sofala e Manica e il loro progetto di tesi dal titolo “Too Far to Walk”,  ci raccontano di come sia possibile avvicinare le donne gravide alle cure parentali e all’educazione sanitaria base attraverso strutture chiamate “Maternity waiting homes”.

Sono passati sei mesi dal nostro rientro dal Mozambico. I ricordi di questa esperienza tra i villaggi e le storie delle madri delle province di Sofala e Manica sono immortalati nelle fotografie, nei messaggi di amici e colleghi ma soprattutto nel nostro progetto di tesi, presentato alla commissione di laurea poco prima di Natale 2021.

La nostra ricerca si è costruita attorno al tema della Casa de Mãe-Espera (Maternity Waiting Home), una struttura indispensabile nelle aree rurali del Mozambico, nata con lo scopo di accorciare la distanza tra le madri prossime al parto e i centri di salute. Si tratta di un alloggio temporaneo, a pochi metri dai reparti di maternità, dove le donne hanno l’opportunità di passare le ultime settimane di gravidanza in compagnia di altre future mamme, giornalmente visitate dal personale sanitario, pronte ad avvicinarsi al momento del parto in sicurezza. Senza queste “case d’attesa”, la distanza che separa molte future madri dalla possibilità di effettuare un parto sicuro inizia a rappresentare un pericolo per la loro stessa salute e quella dei nascituri. Numerosi parti infatti avvengono lungo il cammino che le donne intraprendono quando arrivano le prime contrazioni, spesso sole, a piedi, indipendentemente dal momento della giornata, dal tempo o dal loro stato di salute. Le tradizioni locali tutt’oggi prediligono il parto in casa della famiglia della suocera, soprattutto nell’area centrale del Mozambico, dove il sistema unisce le famiglie seguendo le regole patriarcali. Ma le condizioni sanitarie non sempre sono sotto controllo e, in caso di complicazioni, i neonati e le donne, che spesso al primo figlio hanno 15 o 16 anni, rischiano di perdere la vita durante il parto.

Casa de mãe-espera di Guara Guara – Sofala (distretto di Buzi)

Tale situazione è ulteriormente esacerbata dal cambiamento climatico.

Infatti, la costa Mozambicana è fortemente vulnerabile ad eventi climatici estremi interessati da un costante aumento da inizio secolo. Forti venti e piogge si traducono in inondazioni e cicloni tropicali che si abbattono con furia su un sistema infrastrutturale, urbano ed agricolo già estremamente fragile, mettendo a rischio così la salute di milioni di persone.

Pertanto, nelle aree a rischio di catastrofi naturali, l’intervento strategico della Casa de Mãe-Espera non si limita a creare un riparo ma deve essere affrontato con un approccio resiliente, basato sull’utilizzo di soluzioni resistenti ai fenomeni climatici e fortemente radicate nella cultura locale, così da garantire un primo passo nella maternità sicuro e dignitoso.

Traendo ispirazione dal concetto di “distanza”, il titolo del nostro lavoro è “Too far to Walk”, letteralmente “troppo distante da raggiungere camminando”. Esso cerca di rappresentare il momento in cui le madri si vedono costrette a “scegliere” ove poter trovare rifugio e assistenza in uno dei momenti più delicati delle loro vite. Lo scopo del nostro studio, dunque, è stato quello di affrontare la complessa dinamica della mortalità materno infantile mirando ad una sensibilizzazione della problematica e alla proposta di un progetto pilota di Casas de Mãe-Espera resiliente. Non un modello o un prototipo, ma una soluzione che potesse fungere da punto base per ulteriori sviluppi, preservando gli elementi culturali dell’abitare e le tecniche costruttive locali.

Allineandoci al progetto governativo che dal 2009 promuove uno sviluppo della Casa de Mãe-Espera su tutto il territorio nazionale e al programma Safer Hospital di UNHabitat, supportati dal team CAM di Beira abbiamo costruito la nostra esperienza sull’analisi di 20 casi studio nelle province di Sofala e Manica, tra quelle più duramente colpite dai cicloni Idai (2019), Chalane (2020) ed Eloise (2021). Per ogni circostanza abbiamo parallelamente studiato gli ambiti più tecnici (tipologie costruttive, tratti caratteristici e patologie strutturali) e quelli più umani, parlando con decine di donne ospiti delle Casas de Mãe-Espera che, tramite brevi interviste, ci hanno aiutato a capire quali fossero le problematiche quotidiane da loro affrontate all’interno delle strutture. Ascoltare le loro storie, camminando tra i cocci di una parete crollata e le lamiere di un tetto sradicato dal vento, porta inevitabilmente a chiedersi che ruolo effettivamente si stia ricoprendo in questi contesti e quanto le nostre semplici incuranze verso l’ambiente a casa, possano riflettersi in eventi estremi dall’altra parte del mondo.

Intervista alle madri della Casa de Mãe-Espera di Muda Serração – Manica (distretto di Macate)

Progettare e costruire Casas de Mãe-Espera resilienti non vuol dire risolvere il problema della mortalità materno infantile, tema che risulta essere ancora oggi una grande sfida per i Paesi in via di Sviluppo come il Mozambico. Ad aggravare ulteriormente la situazione, nello scenario di ricostruzione post emergenza climatica questa struttura viene considerata come l’intervento di minor rilevanza, in particolar modo nelle aree più isolate, dove invece la sua presenza risulta fondamentale per la salute delle donne delle comunità rurali.

Consapevoli dunque che l’architettura non è il fine ma solo uno strumento, non il solo-non il primo, per promuovere uno sviluppo sostenibile delle comunità locali e sensibilizzare le parti più estranee alla tematica, abbiamo affrontato il progetto della Casa de Mãe-Espera ragionando sulle atmosfere dei singoli padiglioni, pensando allo spazio per le madri tenendo in considerazione i loro pancioni, il peso, le abitudini giornaliere. La scelta dei materiali è ricaduta su elementi a loro familiari, in stretto rapporto cromatico con le tonalità che colorano i paesaggi delle loro case. La sabbia e la terra, presenti nel suolo, negli edifici, nella polvere alzata dai venti sono indubbiamente gli elementi predominanti del territorio africano, uno di quei luoghi al quale ci si può ancora riferire con il termine naturale, in opposizione all’ambiente dei paesi occidentali che è ormai totalmente antropizzato. Ad un suolo completamente disegnato e cementificato, in Mozambico si oppone l’esclusiva azione della natura.

Strada per Zembe, Manica (distretto di Macate)

In conclusione, per confrontarsi con le infinite superfici orizzontali della campagna ed affrontare il tema della mortalità materno infantile, l’architettura da noi immaginata dovrebbe costruire degli “interni” capaci di misurarsi con i gesti e i comportamenti umani. Il promuovere una Casa de Mãe-Espera “scandalosamente bella” (Gino Strada) e degna all’interno delle strutture sanitarie, (solitamente il luogo in cui le persone, in particolare le donne, sono più vulnerabili) porterà più donne a fidarsi di un sistema a loro estraneo, a sentirsi assistite e protette. La crescita di un supporto concreto anche in campagna contribuirà a rallentare il flusso di migranti verso le città ormai sature. E lo sviluppo delle tecniche costruttive all’interno delle varie comunità condurrà infine al moltiplicarsi di spazi consapevoli, che abbiano senso per chi li abita.

Testo e foto di Massimiliano Piffer e Tatiana Levitskaya.

Per consultare il testo integrale, vi lasciamo i riferimenti con i lavori sui loro portali ISSUU: