Così vicine così lontane

Così vicine così lontane

La nostra rappresentante Paese, Marica Maramieri, ha partecipato al programma radiofonico Expat di Rai Radio3, che settimanalmente raccoglie le voci e le storie di italiani che hanno scelto di vivere altrove. Nella puntata andata in onda sabato 13 novembre si è parlato della sua amicizia con Laura e di come questa riesca a proseguire negli anni nonostante la lontananza.

Laura e Marica si conoscono a Perugia, ai tempi dell’università. Partono insieme per un anno di Erasmus a Santiago de Compostela. Poi le loro strade si separano: Laura va a fare la sua tesi di laurea sui migranti a Tenerife e poi parte per l’America Latina. Marica, dopo un periodo a Bruxelles, parte per un viaggio in Africa. A migliaia di chilometri di distanza, la loro amicizia rimane forte, e quando Laura decide di tornare in Italia, ne discute con Marica, che decide di rimanere all’estero. Con Laura Ruggiero e Marica Maramieri

Da raiplayradio.it

Ascolta la puntata integrale cliccando qui!

Il mercato Maquinino, il cuore pulsante di Beira

Il mercato Maquinino, il cuore pulsante di Beira

Il Mercato Maquinino è uno dei luoghi protagonisti degli interventi di riqualificazione nell’ambito della Gestione dei Rifiuti Solidi Urbani del CAM a Beira. E’ anche uno dei luoghi preferiti di Paolo Ghisu – ex rappresentante di Paese della nostra organizzazione e oggi volontario –  che durante il suo tempo libero a Beira vi ha dedicato delle riflessioni e degli scatti. Li riportiamo di seguito.

Maquinino è il più grande mercato alimentare di Beira, e si trova nel suo centro commerciale. Oggi, ci sono circa 4000 venditori nella zona, ma prima della crisi covid-19 c’erano solo 2400 venditori ufficiali. Negli ultimi mesi, molte persone hanno perso il lavoro e ora cercano di guadagnarsi da vivere nel mercato. Tuttavia, questi numeri sono solo un’approssimazione, poiché ci sono migliaia di persone che vanno lì ogni giorno in cerca di un lavoro quotidiano. Per rendere le cose più complicate, l’infrastruttura del mercato è molto precaria ed è stata gravemente danneggiata dai cicloni degli ultimi due anni (Idai nel 2019, Chalane alla fine di dicembre del 2020, e Eloise nel gennaio 2021), e in molte delle sezioni manca il tetto.

Nel Mercato Maquinino vengono prodotti circa 35-40 M3 di rifiuti al giorno, l’85% dei quali è organico. Migliorare la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti attraverso la formazione, la disponibilità di migliori attrezzature, la sensibilizzazione dei venditori del mercato e dei clienti è uno degli obiettivi di LIMPAMOZ, un progetto attuato da CAM e Progettomondo con il sostegno di Agenzia Italia per la Cooperazione allo Sviluppo. Un primo passo importante che porterà alla creazione di un centro di compostaggio in città che produrrà compost di alta qualità dai rifiuti organici generati nei mercati, ristoranti, ecc. Questa è una delle varie attività destinate a rendere Beira una città più pulita, più bella e più sostenibile.

Profilo Instagram di Paolo Ghisu per ulteriori immagini e parole sul Mozambico

“Esperar” in Mozambico

“Esperar” in Mozambico

Testimonianza di Massimiliano e Tatiana, in Mozambico per il loro progetto di ricerca, che ci raccontano impressioni, esperienze e spaccati di vita quotidiana dopo due mesi dal loro arrivo.

“Il Mozambico è una terra piena di fascino, di sorprese e di attesa.

Siamo arrivati qui, due mesi fa, con l’intenzione di parlare di resilienza, per applicarla nella ricostruzione dei centri di salute e raccontarla alla comunità. Oggi, seduti nell’ufficio di Beira o in missione nei distretti rurali della provincia, il Mozambico ci mostra la sua versione di resilienza. La straordinaria capacità delle persone di sorriderti sempre, di chiederti se hai bisogno di qualcosa e il saluto di chiunque subito seguito dalla domanda “como està?”. Le case in pao-a-piqué, i bairros informali in espansione, le baracche a bordo strada che vendono frutta, copertoni e saponette. Il tempo è dilatato. Si aspetta molto e sempre, dall’ordine in un bar ad una carta dal ministero della salute. Si aspetta l’ultimo minuto per aggiustare qualcosa, per risolvere un problema, spesso anche per agire. Nonostante ciò, nella vita di tutti i giorni la povertà e le ferite lasciate dalle innumerevoli catastrofi che hanno colpito i mozambicani, si spalleggiano alla naturale spinta a rialzarsi, a ri-adattarsi e a continuare.

Le case de mãe-espera

Dopo lunghe attese e innumerevoli cambi di programma anche la nostra ricerca si è delineata con resilienza. Il lavoro sui centri di salute si è focalizzato sulla caratteristica casa de mãe-espera, una struttura indispensabile nelle aree rurali per avvicinare le mamme in dolce attesa ai centri di salute, dove esperar (aspettare) in compagnia di altre mamme più esperte, un luogo in cui le cure di una levatrice permettono di partorire in sicurezza.

Il sistema delle case de mãe-espera è molto recente (2009), nato dalla necessità delle famiglie di salvaguardare il delicato momento del parto e ridurre la mortalità materno-infantile. Un contesto che purtroppo ancora ad oggi non dispone di linee guida precise, né dal punto di vista architettonico né da quello politico, in aggiunta ad una drastica mancanza di risorse economiche e numerose barriere culturali. La maggior parte di queste strutture vengono costruite con materiali tradizionali, localmente reperibili ed estremamente fragili nei confronti delle condizioni climatiche del paese, che stanno drasticamente cambiando negli ultimi anni. Tetti scoperti, camere costipate, ambienti surriscaldati e soffitti cadenti: sono le caratteristiche delle case de mãe-espera non solo della provincia di Sofala.

Abbiamo parlato con più di 30 mamme, chine sulle braci arrangiate a terra a mescolare le papinhas (acqua, farina e zucchero), sedute per terra sulla dibonde (espressione in dialetto ndau per dire “stuoie”) con i loro grossi pancioni all’ottavo o al nono mese. Mamme che non sanno cos’è l’architettura, che non ne conoscono i benefici e le bellezze perché intente ogni giorno a coltivare la terra per sopravvivere e nutrire le numerose famiglie, curare la casa, camminare per chilometri per procurarsi l’acqua. Per alcune la casa de mãe-espera dei centri di salute è un lusso. Un tetto sopra la testa e un pozzo a 3 metri dalla veranda dove prendere acqua per cucinare e per lavare le capulane non sempre sono presenti nel loro quotidiano. Negli sguardi delle donne immortalate nelle nostre foto si leggono mille domande, si chiedono chi siamo, cosa vogliamo, perché siamo lì. C’è tanta timidezza, sorridono voltandosi e coprendosi i volti quando, con il nostro portoghese sbilenco, le salutiamo e chiediamo di raccontarci la loro storia. La curiosità è tanta ma la disparità tra le nostre scarpe e le loro ciabattine infradito creano una grande barriera che in così pochi mesi è difficile abbattere.

Ad ogni visita echeggia la più grande domanda della nostra esperienza qui in Mozambico: cos’è quindi l’architettura in Africa? Un eco dello stile coloniale modernizzato in linea con le antiche ville della città di Beira o una struttura minimale, puramente funzionale, che costruita con lo stretto necessario possa garantire l’indispensabile per sopravvivere?

Siamo qui con l’aiuto del CAM e in collaborazione con UNHABITAT per cercare l’inizio alle risposte a questa e a tante altre domande. Volevamo applicare la resilienza a questo fragile paese ma ora è il Mozambico ad insegnarci il suo vero significato.

 

Tre mesi in Mozambico

Tre mesi in Mozambico bastano per iniziare a blaterare il portoghese e qualche parolina in Ndau e Sena, provare la matapa, la xima e il pesce cucinato in tutti i modi possibili. Impari a muoverti in chopela, ad andare al mercato. In tre mesi puoi visitare Vilankulo e Ilha de Mozambique, fare un pranzo alla Lagoa, visitare il Parco di Gorongosa, macinare chilometri sulla spiaggia fino al villaggio dei pescatori. Puoi conoscere tante realtà che operano sul territorio mozambicano, associazioni, cooperanti internazionali e locali. Impari a leggere gli sguardi e le parole nascoste dietro le mascherine, a conoscere i tuoi colleghi e gli amici delle birrette al Biques. Impari la filosofia mozambicana del deixa ir, del lasciare andare, del non preoccuparti troppo (e non è sempre un bene).

Ma tre mesi non sono sufficienti per capire il Mozambico e la sua complessa mutevolezza, non bastano per avvicinarti veramente alle persone, conoscere le loro tradizioni, le molteplici realtà che circondano ogni famiglia, ogni quartiere, ogni paesaggio.

Se volete capire il Mozambico tre mesi non bastano. Ma per rimanerne affascinati sicuramente basta anche molto meno!

Max e Tati

max e tati

Mozambico, l’ex vescovo di Pemba: “Minacce di morte dal governo”.

Mozambico, l’ex vescovo di Pemba: “Minacce di morte dal governo”.

Riportiamo di seguito un’intervista de La Repubblica all’ ex vescovo di Pemba – Luiz Fernando Lisboa, il quale ha lasciato il Mozambico lo scorso febbraio in seguito alla ricezione di ripetute minacce per il suo impegno socio-politico a Capo Delgado.

Mozambico, l’ex vescovo di Pemba: “Minacce di morte dal governo. Sono anni che lanciamo appelli a Maputo. Inutilmente” di Raffaella Scuderi

 

Luiz Fernando Lisboa ha vissuto in Mozambico per vent’anni, di cui 8 da vescovo nella regione di Cabo Delgado, diocesi di Pemba. Brasiliano, 65 anni e senza paura. C’è voluto papa Francesco per convincerlo ad andarsene dal Mozambico, a febbraio di quest’anno. Le minacce di morte stavano diventando troppe. Dal 2017, anno del primo attacco importante al Nord degli estremisti mozambicani, Lisboa non ha mai smesso di parlare. Ha dato voce alla gente della sua diocesi, più povera dei già poveri mozambicani, denunciando l’inizio di una guerra che se fosse rimasta inascoltata da Maputo, avrebbe messo in ginocchio una regione intera del Paese. Lo chiamano “la voce del popolo”, e aveva ragione. L’attacco alla città di Palma il 24 marzo, con decine di morti, fosse comuni, teste decapitate e migliaia di dispersi e sfollati, ne è la dimostrazione.

-Monsignore, chi la minacciava? Gli estremisti?

No. Il governo. Ho ricevuto prima minacce di espulsione, poi di sequestro dei documenti, e alla fine di morte”.

-Come fa a essere sicuro che fosse il governo?

“Maputo ha negato la guerra fin dall’inizio. Quando il conflitto e il pericolo sono diventati evidenti, ha proibito che se ne parlasse. Ha impedito ai giornalisti di fare il loro lavoro. Un reporter è scomparso da aprile dell’anno scorso. Lavorava per una radio comunitaria e parlava della guerra. Nel suo ultimo messaggio diceva che era stato circondato dalla polizia. La Chiesa era la unica che parlava della situazione. E al governo non andava bene. Soprattutto non tollerava che uscissero le notizie dallo Stato. Orgoglio nazionale, business, Quando un anno fa la conferenza episcopale, in un documento, condannò quello che stava accadendo, le autorità hanno reagito male iniziando a gettarmi fango addosso”.

-Perché Maputo minimizza la presenza dell’estremismo?

“Non vogliono che si parli male del Paese. Noi ci siamo appellati perché il governo chiedesse aiuto alla comunità internazionale. Da solo non ce la fa. E lo stiamo vedendo. Il nostro appello è arrivato al Parlamento europeo, e due commissioni mi hanno chiesto di esporre la situazione”.

-Cosa le ha detto il Papa?

“Dopo la visita in Mozambico papa Francesco ha sempre seguito la situazione di Cabo Delgado. Ad agosto dell’anno scorso mi ha chiamato per dirmi che ci stava molto vicino, che pregava per noi e che voleva darci la benedizione. Grazie al suo intervento la guerra si è internazionalizzata. Dopo le sue parole molta gente ha iniziato a interessarsi alla guerra. A dicembre ha donato 100 mila euro per la costruzione di ospedali e per gli sfollati”.

Lo ha risentito dopo le minacce di morte?

Il 18 dicembre l’ho incontrato in Vaticano. Voleva sapere com’era la situazione. Evidentemente aveva più informazioni di me. Sapeva che correvo dei rischi e mi ha proposto di trasferirmi in Brasile”.

Cosa sta succedendo a Cabo Delgado?

“Risorse, multinazionali e guerre. Tre cose che trovi sempre insieme. La situazione sta peggiorando velocemente. Sono in contatto con tanta gente della diocesi di Pemba e di Palma (luogo dell’attacco del 24 marzo, ndr). Molte persone sono ancora nascoste nella boscaglia. Altre sono riuscite ad arrivare in un’altra città, Nangade. Ci sono tanti vecchi, bambini e gente che non sa come sopravvivere. Mi hanno detto che gli elicotteri dei contractor hanno lanciato bombe colpendo terroristi, ma anche civili”.

-Ha vissuto tanti anni in Mozambico. Dove nasce questa violenza estremista?

“Il Mozambico è uno dei 10 Paesi più poveri del mondo. E la regione del Nord è la più povera. Nell’ultimo anno ho assistito a un’inversione della politica pubblica, non più preoccupata per la popolazione: salute, educazione. Gente povera, senza lavoro, malata e analfabeta. I giovani non hanno un futuro perché non possono studiare: non c’è la scuola secondaria. Una provincia povera e abbandonata, anche se ricca. La situazione ideale per la guerra: povertà, molte risorse e questioni etniche. Tutti elementi importanti per un conflitto”.

-Lei cosa ha fatto?

“Diversi anni fa abbiamo avvisato il governo locale e centrale che c’erano dei gruppi che mancavano di rispetto ai leader musulmani. Il governo non ha prestato la dovuta attenzione. E questi individui sono cresciuti diventando sempre più forti. Fino alla rivolta del 2017”.

Che siano o no sponsorizzati dall’Isis, rimane un mistero. Analisti sostengono che la rivendicazione del Califfato sia un fake. Qual è la sua opinione?

“Gli estremisti usano il nome dello stato islamico. Ma questa non è una guerra religiosa. Se lo fosse stata ci avrebbero attaccato. Ma loro assaltano tutti, e distruggono sia chiese che moschee. Uccidono leader cristiani e musulmani. Questa è una guerra economica per appropriarsi delle risorse naturali: gas liquido, oro, rubini, pietre semipreziose. Al momento ci sono più di 700 mila sfollati e più di 2 mila morti”.

-Come vive la popolazione? C’è chi dice che non abbiano fatto resistenza all’assalto.

C’è una totale mancanza di rispetto per i diritti umani. Sia da parte dei terroristi che del governo. La popolazione ha paura di entrambi. Gli estremisti hanno rubato le uniformi, le armi dell’esercito e il cibo. Si presentano come militari. Per la gente è una situazione tremenda. Vedono l’esercito e per loro sono terroristi. Le forze militari in qualche modo abusano delle persone. Ma anche i soldati sono delle vittime, perché stanno in una guerra in cui non vogliono stare”.

-Da poco hanno scoperto giacimento di gas liquido. Sono stati investiti miliardi di dollari proprio a Cabo Delgado. Ci sono i francesi, gli americani e gli italiani. Cosa comporta?

“La relazione tra le multinazionali e la regione non è buona. Il modo in cui queste grandi imprese fanno le cose, non va bene. Ci sono leggi che ti dicono come compiere dei passi: consultazioni con la popolazione, partecipazione alla discussione. Ma non lo fanno. E la popolazione deve lasciare le sue terre. Questo crea discontento”.

-Non ha mai avuto paura?

“No. Non ho mai smesso di parlare. La Chiesa è la voce di chi non ha voce. Come potevo stare zitto?”

-Le manca il Mozambico?

“Sarei rimasto. Mi manca tanto. Tutti i giorni chiedo informazioni e sento amici e missionari. E anche da qui cerco sempre di capire come aiutare quel Paese. Ho chiesto a tutti i missionari e le missionarie della regione, di andare via subito da Palma”.

Cosa porta nel cuore di quei 20 anni?

“La cosa più bella è stata vedere quella gente così povera accogliere altri poveri nelle loro case. Si prendevano anche due o tre famiglie, non avendo quasi nulla, né spazio, né cibo. Questo non lo dimenticherò mai. Sono un esempio di umana condivisione”.

Nália das Dores, un’artista Mozambicana formatasi a Trento

Nália das Dores, un’artista Mozambicana formatasi a Trento

Chi è Nália das Dores

Nália das Dores è un’artista Mozambicana, amica del CAM Trento, città dove ha vissuto otto anni. Ad un certo punto della sua professionalizzazione, ha deciso di dedicarsi ad una passione radicata, l’arte, trasformandola nella sua professione e modalità di espressione.

Classe ’90, ha studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Trento per poi professionalizzarsi nel Marketing. Noi del CAM abbiamo avuto l’opportunità di accoglierla presso la nostra sede, dove ha tenuto corsi di portoghese e collaborato per iniziative rivolte alla promozione della cultura mozambicana.

Fin da piccola le piaceva disegnare. Disegnava abiti di moda e faceva ritratti. Tuttavia, è stata scoraggiata dall’intraprendere la carriera artistica dalla rarità delle opportunità professionali in questo ambito. Dopo aver conseguito la Laurea, è tornata in Mozambico, dove ha iniziato a lavorare stabilmente. In seguito, ha iniziato parallelamente il suo percorso nel campo dell’arte.

Il percorso artistico professionale di Nália

Ha iniziato a lavorare dapprima “su commissione”. Successivamente, ha aperto una pagina su Instagram, Liah_ art3, dove ha iniziato ad esporre le sue opere.

Molte persone hanno espresso interesse nel comprare le sue opere e l’hanno supportata nel posizionamento nel mondo dell’arte.

Nel gennaio del 2020, per la prima volta, ha esposto le sue opere in una mostra collettiva presso la galleria d’arte 16Neto, a Maputo. Per Nalia è stata una esperienza unica, che l’ha fatta sentire realizzata.

Durante la mostra ha venduto sette pezzi. Avrebbe avuto altre esposizioni nei mesi successivi, ma a causa della crisi sanitaria ha annullato i prossimi appuntamenti. Nália però non si è fermata. Ritiene che la pandemia sia stata <<un catalizzatore di opportunità>>, perciò ha continuato a produrre per tutto il periodo, lavorando alla sua esposizione “A Janela da Alma Feminina”.

MozGallery – il nuovo progetto

Nel 2020 ha fondato un nuovo progetto: MozGallery, un portale e un movimento formato da talenti mozambicani, nato con lo scopo di creare connessioni, valorizzare talenti più o meno conosciuti, stimolare e vitalizzare il panorama artistico del paese.

E non sono finite qui le novità. Il 2021 si è aperto con il Daydreamer Artshow: un evento internazionale dedicato alle presentazione delle sue opere, che si è tenuto sabato 27 marzo a Maboneng, nel Sud Africa.

Il soggetto e il significato delle sue opere

Per Nália, dipingere significa entrare in un’altra dimensione, all’interno della quale si immerge profondamente, dimenticandosi del tempo che scorre.

La sua fonte di ispirazione sono le persone espressive. In modo particolare, le donne mozambicane sono il soggetto della sua pittura.

Nelle sue opere, rappresenta la complessità della donna, intesa come la molteplicità delle dimensioni espressive attraverso cui una donna esprime se stessa: sensualità, fratellanza, forza, resistenza, dolore, bellezza, accettazione dell’imperfezione, leadership.

Uno degli obiettivi della pittura plastica di Nália  è infatti quello di rompere gli schemi stereotipati della donna come baluardo della perfezione e condurre la società a valorizzare il suo ruolo pilastro nella società.

Perché vi presentiamo Nália

Le opere di Nália hanno un valore artistico e sociale profondo. Perciò abbiamo voluto presentarvela in questo articolo. Ma anche perché la sua storia fa parte di un percorso di migrazione dal Mozambico al Trentino e dal Trentino al Mozambico, che ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione di un talento giovanile. Questo per sostenere che, le migrazioni non sono una piaga da combattere, bensì una fonte di ricchezza per le persone che si spostano e i territori che le accolgono. 

Un grande in bocca al lupo a Nália!

 

Desculpe, nao falo muito portugues

Desculpe, nao falo muito portugues

Pubblichiamo la testimonianza, fresca e coinvolgente, che ci arriva dalle studentesse Ada Castellucci e Valentina Caminati, da poco arrivate a Beira per lavorare alle loro tesi di laurea. Potete inoltre seguire il loro divertente “Instagram blog” Tesiste per Caso.

O que você acha da Beira?” “Desculpe, nao falo muito portugues”

Solo oggi, dopo 15 giorni dal nostro arrivo qui in Mozambico, abbiamo imparato a capire e a rispondere a questa domanda, “Che ne pensi di Beira?”. E mica ancora l’abbiamo capito bene cosa ne pensiamo, 15 giorni sono pochi per farsi un’idea di una città così lontana da casa, dalle proprie tradizioni e abitudini, che ha perfino delle stelle diverse da quelle che si vedono da noi!

Sicuramente la prima impressione è forte. Il caldo quasi soffocante e l’umidità opprimente sono la primissima sensazione scendendo dall’aereo, e per un attimo quasi tolgono il fiato. La strada dall’aeroporto alla sede del CAM è la seconda grande rivelazione. Si arrivava da un Italia con il coprifuoco, che si apprestava a diventare zona rossa; potete immaginare come sia stato vedere così tante persone in giro di notte! Passiamo una prima nottata angosciante, con porte che sbattono e si aprono da sole, convinte che da un momento all’altro sarebbe entrato qualcuno a rapirci o derubarci, per poi scoprire che si trattava solo del vento della tempesta.

I giorni dopo, i primi passi nel nostro quartiere, Ponta Gea, nel cuore di una Beira illuminata da un sole caldissimo. I primi “Bom dia!”, i primi viaggi in chopela, le apecar locali di servizio taxi, i primi aperitivi in spiaggia con Marica dopo giornate di intenso lavoro, le prime gite nei mercati. Conosciamo lo staff del CAM, gentilissimo e altamente preparato per rispondere a qualsiasi nostra domanda. Si lavora bene, si trovano i momenti di svago la sera e nei weekend, si comincia a capire come muoversi da sole in città. Tutto come in un sogno che, finalmente, dopo circa sei mesi di rinvio per problemi di visto legati al Covid, si avverava. Non una cosa avrebbe potuto buttarci giù di morale, pensavamo.

Povere illuse. Iniziano da subito gli incontri ravvicinati del terzo tipo con dei mostri nella nostra cucina: le blatte. Tipico animale da compagnia africano, la blatta non fa assolutamente nulla, ma a prima vista provoca ribrezzo. I primi giorni imparare a sconfiggerle non è facile, ma piano piano impariamo a comprare l’insetticida giusto e ad armarci di “savatta” per schiacciarle. Dopo 4 giorni, il Wi-Fi decide di non andare più e ci accorgiamo – sventurate – che i documenti sul Drive hanno anche dei difetti: richiedono rete. Un sabato più caldo del solito ci sorprende particolarmente, e al Wi-Fi non funzionante si aggiungono la corrente e l’acqua. Il caldo è soffocante e la doccia non funziona. “Perché siamo qui Vale, perché? Chi ce l’ha fatto fare?”

Già, perché siamo qui? Studiando la situazione della gestione dei rifiuti in contesti a basso reddito, nel corso offerto dal professor Ragazzi dell’Università di Trento abbiamo scelto di trattare questa tematica per la nostra tesi di laurea magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, e così abbiamo preso contatti con Isacco Rama, direttore del CAM. Siamo quindi venute a conoscenza dell’interessante programma chiamato LIMPAMOZ (Limpamos Mozambique, puliamo il Mozambico) del CAM a Beira il quale tratta, tra le altre, due tematiche che subito ci hanno affascinato. Il programma è promosso con Progettomondo e l’amministrazione del municipio di Beira. E’ così che è cominciata la nostra avventura a fine luglio 2020, con una serie di chiamate Skype con Isacco, per decidere bene come e dove inserirci.

Nel frattempo, entriamo a far parte del programma TALETE, Honours Programme dell’Università di Trento, che ha supportato il nostro progetto di ricerca all’estero fin dall’inizio e ci sostiene in questa esperienza!

Ada si occuperà della gestione dei rifiuti solidi ospedalieri del Centro de Saude de Ponta-Gea, un piccolo ospedale di fronte alla sede del CAM. L’obiettivo del suo lavoro è quello di migliorare il sistema di raccolta differenziata esistente dell’ospedale, anche in previsione dell’arrivo di un nuovo macchinario per lo smaltimento finale del rifiuto. È in spedizione, infatti, una sterilizzatrice meccanica dell’azienda Newster, che alleggerirà il carico dell’inceneritore dell’Hospital Central da Beira, impianto, quest’ultimo, che rappresenta tutto ciò che un ingegnere ambientale non vorrebbe mai vedere nella sua carriera.

Valentina si occuperà invece della gestione dei rifiuti organici provenienti in particolare dal settore della ristorazione e da due grandi e importanti mercati della città: il Mercado de Maquinino e il Mercado de Goto. Il CAM ha un progetto riguardante un centro di compostaggio per il trattamento del rifiuto organico del mercato di Maquinino, già dimensionato ma ancora da realizzare. Vale penserà ad un’eventuale amplificazione della matrice in ingresso, aggiungendo l’organico di Goto e dei locali addetti alla ristorazione, a cui vorrebbe somministrare questionari per capire le loro opinioni sul progetto.

Queste sono le nostre motivazioni, questo è quello che ad ogni goccia di sudore ci spinge ad uscire per fare foto ad immense casse di rifiuto putrescente, che ad ogni blatta ci fa pensare a quella storiella del battito d’ali di una farfalla, che anche un piccolo cambiamento ne innesta tanti a catena, che ogni volta che salta internet che ricorda che c’è bisogno di uscire e sporcarsi le mani, se davvero vogliamo lasciare questo mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato.

Boa sorte para nós!